Inizi la giornata e batti Svetlana Kuznetsova, poi poco più tardi assieme a Victoria Azarenka vinci anche il doppio. Quale è stata la soddisfazione più grande?
Mah, difficile. Sono state due partite perfette. Ho battuto una giocatrice molto forte come Kuznetsova, poi di nuovo in campo per il doppio… Non sono una doppista per cui ogni risultato che ottengo qui è speciale, ma oggi veramente è stato emozionante.
Parlando solo del singolare, è vero che Kuznetsova rientrava da un infortunio ma è una grandissima giocatrice e con tanta esperienza. Sapresti direi a che punto invece ti senti nel tuo percorso?
Non lo so, sinceramente. Non saprei bene a che livello possa essere e non ci faccio tanto caso, perché quello che voglio ora è stare bene fisicamente, mentalmente e sentirmi in grado di giocare al meglio ogni volta, di lottare su ogni palla, di ributtarla sempre di là [dalla rete, nda] una volta in più.
È vero che tutti ti conoscono come una che colpisce forte ed è molto aggressiva, ma provi spesso ad avanzare verso la rete. Oggi tra l’altro hai vinto un punto con un ottimo slice in avanzamento. Il fatto che vai spesso verso la rete è perché vuoi cambiare qualcosa?
Sono circa due mesi che sto lavorando tanto con il mio coach per migliorarmi sotto molti aspetti. Cerchiamo negli allenamenti di fare esercizi con smorzate, o con soluzioni che possano portarmi a colpire verso la rete. Non è che voglia veramente cambiare qualcosa di come gioco, però stiamo cercando di aggiungere alcune parti che prima non avevo. Un altro aspetto sono gli slice, talvolta qualche serve&volley… Un insieme di situazioni per non essere una giocatrice che fa un solo tipo di gioco.
Come reagivi quando vedevi che ogni volta in cui giocavi una smorzata poi veniva fuori un colpo perfetto?
Mi sono sorpresa da sola, giuro. Volevo provare a fare qualcosa di diverso e ho deciso di fare qualche smorzata di tanto in tanto. Ne ho fatte almeno 3 e ho sempre vinto il punto. E pensavo: “Io? Un colpo così? Allora lo so fare!”.
Durante l’Australian Open era uscita la notizia della tua collaborazione con Magnus Norman, però oggi non l’ho visto nel tuo angolo. Non è qui?
No, Norman mi aiuta con la preparazione ai tornei, soprattutto quelli più importanti. Non viaggia con me, per quello ho il mio allenatore principale, però è una figura molto importante perché mi scrive spesso, ci teniamo in contatto quando sono in giro per i tornei. Ad esempio era con me per il match di Fed Cup contro la Germania, poche settimane fa. Mi da una grande mano, sono felice per questo.
Parlando di Azarenka, come è stato giocare un doppio con lei? Ti aspettavi di averla accanto?
Lei mi ha aiutato tanto durante il match, mi diceva di non preoccuparmi se sbagliavo ed era sempre pronta a tirarmi su di morale o a farmi i complimenti. È stato speciale, apprezzo tantissimo il fatto che mi abbia scelto come compagna e che mi dicesse sempre “non preoccuparti, dai, forza, forza”. Ogni tanto mi dava degli consigli su come giocare le voleè, oppure nei momenti importanti era lei che diceva “ok, ora facciamo così”. Lei ha tantissima esperienza e non potevo che seguirla. Ci siamo allenate un paio di volte in questi giorni e ho sentito subito da parte sua un’intensità molto molto alta. Era quasi impossibile avere pause, nessun punto dove poter fermarti e prendere fiato o riposare. Alla fine però mi sentivo ancora carica, questa era la cosa più bella [ride, nda].
Quest anno ho parlato a Brisbane con “Sascha” Sasnovich e ricordo che diceva di come fosse contenta di avere in squadra, in Fed Cup, una come te. Ora giro la domanda a te: che persona è Aliaksandra e come siete riuscite a costruire una corsa come quella, partendo dalla terza serie e arrivando a un punto dal titolo?
Lei è una bravissima ragazza, ha aiutato tutte lo scorso anno a fare gruppo perché lei era quella che veniva chiamata anche prima quando a guidare c’erano “Vika” e Olga [Govortsova, nda] e sapeva quanto fosse importante per tutte noi. Si spende sempre tantissimo per la squadra. Alla fine l’atmosfera nel team era bellissima: siamo diventate tutte molto amiche, io avevo un po’ il pensiero di non volerla deludere quando magari scendevo in campo che lei aveva vinto il primo match. Pensavo: “Dai, non puoi perdere. Sascha ha fatto così tanto e così bene per la squadra, non puoi deluderla”. Lei è una cara ragazza, ci ha aiutato tanto e credo che alla fine abbiamo creato una bella storia. Per esempio, nel weekend della finale, eravamo nello spogliatoio e ci caricavamo a vicenda, ci dicevamo di andare fuori e divertirci il più possibile. Un’esperienza così ti rimane ben impressa. È stato speciale per tanti motivi, ma soprattutto eravamo a casa, con tanti amici che ci sostenevano. È stata una partita molto difficile, alla fine siamo anche andate vicinissime alla vittoria, potevamo giocarci tutto al set decisivo ma non ce l’abbiamo fatta. Un peccato, ma per me è stata un’esperienza enorme.
Oltre alla Fed Cup hai giocato la prima finale WTA, hai vinto un titolo a livello 125k. C’è uno di questi traguardi che apprezzi maggiormente?
Non riuscirei a dire con esattezza: è diverso. In Fed Cup è uno sport a parte, con tante emozioni mescolate con la partita, il fatto che giochi per il tuo paese… A Tianjin fu speciale, sicuro, ma fu comunque diverso. No davvero, ci sto pure pensando ma non saprei dire perché sono tutte importanti alla fine, nel percorso di crescita.
C’era una giocatrice che consideravi un idolo?
Sono cresciuta guardando Serena, Maria, Vika… Tutte e 3 sono giocatrici fantastiche, ma adesso non c’è un vero idolo. Una volta che ho iniziato a giocare non ho più avuto veri idoli. Probabilmente perché mi sentivo dire un po’ troppo spesso: “Ah vuoi essere la nuova Sharapova…”. A un certo punto ho cominciato a pensare: “No, io sono Aryna Sabalenka, vorrei essere ricordata per qualcosa che faccio io”.
Parlando invece del tuo passato, quando hai cominciato a giocare? È stata immediata l’idea di diventare una professionista?
Ho cominciato a giocare quando avevo 6 anni, mentre è stato verso i 15-16 anni che ho pensato di voler veramente diventare una tennista professionista. Tra l’altro non ho neppure fatto una grande attività a livello junior, poco più di un anno prima di passare ai primi tornei ITF. Non è stato facile all’inizio, ho perso tante volte nei primi turni e pensavo quanto ci sarebbe voluto prima di salire nel ranking. Poi ho vinto due ITF da 10.000 dollari di fila e da lì è cambiato tutto, ho cominciato ad alzare il livello dei tornei, arrivando poi a giocare gli ITF coi montepremi più alti e lo scorso anno ho fatto i primi tornei WTA.
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