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Ostapenko contro Stephens, la finale a Miami: sarà sfida attacco contro difesa?

Siamo arrivati all’ultimo atto del lungo, faticoso e importantissimo snodo di marzo. In un mese si racchiudono i primi WTA Premier Mandatory (e i relativi opposti ATP Master 1000). 4 settimane tutte d’un fiato: non hai il tempo, tu giocatrice, di riflettere su quanto accaduto a Indian Wells che subito devi essere fisicamente pronta e mentalmente fresca per affrontare altre 2 settimane dall’altra parte del continente, a Miami, trovare il feeling giusto in un paio di giorni e andare in campo.

Miami, da questo punto di vista, non perdona: sarà un caso, ma solo 3 delle giocatrici che erano ai quarti di finale a Indian Wells si sono replicate e se per Angelique Kerber e Venus Williams magari non fa tanto notizia, Karolina Pliskova visto il momento negativo era forse la più difficile da prevedere. Eppure la ceca è stata anche favorita da un tabellone piuttosto leggero, che alla prima difficoltà vera (Victoria Azarenka) l’ha vista annaspare senza appello. Nessuna di loro, in ogni caso, ha raggiunto le semifinali: detto della ceca, Kerber è stata vittima delle 3 ore spese contro Yafan Wang (evitabili) mentre Venus ha beccato una Danielle Collins a cui riusciva tutto.

Così la finale dell’ultimo Miami Open a Crandon Park vedrà di fronte due giocatrici al primo atto in un evento di questo livello: Sloane Stephens e Jelena Ostapenko. Eppure, per chi uscirà vincitrice non sarà il trofeo più importante della carriera. Si sfidano infatti la campionessa dell’ultimo US Open contro la campionessa del Roland Garros in un confronto tra vincitrici Slam che, in una finale così, mancava da Pechino 2014 quando Maria Sharapova (campionessa a Parigi per la seconda volta in carriera) sfidava Petra Kvitova, che pochi mesi prima aveva trionfato sull’erba di Wimbledon.

Nemmeno 21 anni per la lettone (che ne compirà l’8 giugno prossimo) eppure su 6 finali ha già toccato praticamente tutti i livello del circuito femminile a eccezione delle WTA Finals di fine anno: 2 finali a livello International (una vinta, a Seoul, e una persa, in Quebec), una a livello Premier (persa, a Charleston), una Premier 5 (persa, a Doha), una da giocare in un Premier Mandatory e una, ovviamente, nei tornei Slam col Roland Garros 2017. Stephens ha compiuto 25 anni da qualche giorno (20 marzo) e sebbene le manchi l’ultimo atto di un Premier 5 può vantare un record perfetto di 5 giocate e 5 vinte: 3 a livello International (Washington, Auckland e Acapulco), una Premier (Charleston) e lo US Open. Anche per lei, questa sarà la sesta finale in carriera.

IL CAMMINO DELLE FINALISTE

Sloane ha ceduto per strada due set, prima contro Monica Niculescu (e lì ha rischiato tantissimo, non fosse stato per un infortunio alla schiena della rumena che ha condizionato il finale) e uno contro Victoria Azarenka, da cui è emersa alla distanza. Ostapenko invece ha messo insieme 5 vittorie senza cedere un set, con 5 tie-break vinti lungo il cammino. Stephens probabilmente non è al livello dello scorso mese di agosto, quando batteva quasi solamente top-30 e faceva 2 semifinali tra Toronto e Cincinnati prima del tripudio di New York. È solida, raramente butta al vento le occasioni che ha nel corso delle partite, ma le avversarie più importanti affrontate erano tutte in momenti di difficoltà. Garbine Muguruza, battuta al quarto turno 6-3 6-3, è forse l’esempio migliore: in questo momento nel tour non c’è giocatrice più enigmatica della numero 3 del mondo, che sta alternando buone prestazioni (poche) a ombre fin troppo durature (molte). In più però, ed è la cosa che fa allarmare, non sembra ancora aver trovato la via per uscirne. Per fare un esempio: l’altra finalista odierna, Ostapenko, ha avuto difficoltà ad approcciare il 2018, ma i problemi si rifacevano a una off season ridotta all’osso (secondo la madre ci sono stati appena una decina di giorni di tempo) e un impatto inizialmente non facile con lo status da top-10, fino alla scelta di sacrificare le prestazioni dei tornei di febbraio per riprendere la preparazione in vista degli appuntamenti di marzo. Una scelta rischiosa ma che sembra aver dato i suoi frutti: trovato il problema, proviamo a risolverlo. Questo per la spagnola ancora non sembra esserci, e si barcamena tra uscite poco convincenti e avvicendamenti nel suo angolo, con l’unica costante di Sam Sumyk e un rapporto che sembra naufragato ormai da più di un anno.

Nei quarti Stephens ha lasciato 3 game ad Angelique Kerber, una tedesca che però fin dal primo game mostrava segni evidenti di scarsa mobilità delle gambe, chiaro segno di chi non ha avuto tempo per recuperare dalla maratona precedente (ci furono meno di 24 ore dalle 3 passate contro Wang). Già nei primissimi punti era in ritardo sulla palla e quasi non spingeva. Il risultato? Un’ora scarsa di partita. In semifinale infine un’Azarenka che alla lunga ha pagato tutte le partite accumulate dopo 9 mesi di stop ed è crollata di schianto dopo un set e pochi game. Sloane stessa, per quanto si sia detta contenta di queste 3 affermazioni consecutive, ha espresso i toni più enfatici per quel successo sul campo 2 contro Niculescu, dove fino al 6-7 3-3 non aveva la minima idea di come uscirne viva: “Le vere soddisfazioni le senti soprattutto quando sei sul campo 75 (che ovviamente fu un’esagerazione, nda) e stai giocando contro Niculescu e lei continua con i suoi slice fino a mandarti a giocare a Pechino, praticamente, e tu sai che devi lottare come una dannata per uscirne viva e andare nei grandi stadi a giocare contro le migliori”.

Ostapenko invece era giunta a Miami con solo 4 vittorie fin qui nel 2018, 3 di queste al set decisivo. A Crandon Park ne ha messe assieme 5, tutte in 2 set. Timea Babos, Beatriz Haddad Maia, Petra Kvitova, Elina Svitolina e Danielle Collins. L’avversaria più pericolosa, sulla carta, era la ceca che però ancora una volta è ricaduta nelle sue difficoltà ad affrontare questo periodo della stagione. Il 7-6 6-3 si spiega anche così, con una Kvitova che ha impattato spesso male la palla generato oltre 30 gratuiti ed è arrivata a palla break appena in 3 turni di battuta della sua avversaria, che ha potuto vendicare il 6-0 6-2 subito a San Pietroburgo. Poi il 7-6 7-6 contro l’ucraina, giocatrice molto più solida ma quel giorno non al meglio fisicamente (in conferenza stampa, come suo solito, ha voluto minimizzare, ma in campo è stata prima visitata dal medico e poi, a metà del secondo set, ha detto chiaramente al suo allenatore che non poteva muoversi dal dolore allo stomaco). La vittoria più bella della numero 5 del mondo è stata probabilmente quella contro Collins, il 7-6 6-3 in semifinale maturato con un grande sprint tra fine del primo set e inizio del secondo, 33 vincenti totali e zero palle break concesse nel secondo parziale. Non banale, se vogliamo, neppure il 6-2 7-6 del terzo turno contro Haddad Maia, visto che si è trovata senza hawkeye dal 4-3 del secondo set e tanti tifosi brasiliani che avevano reso il campo 2 un catino bollente.

CHE SFIDA SARÀ

Andiamo incontro al primo confronto diretto in assoluto tra le due giocatrici. Una è una grandissima giocatrice di pressing e spinta, che sta avendo in queste settimane un buon collegamento tra i vari pezzi del suo puzzle: oltre ai colpi potenti è aiutata dal grande movimento dei piedi che sembra rendere quel suo gioco così facile e naturale. Fossero semplici “botte a caso” la metà, almeno, di quei colpi andrebbero ben oltre le linee. Non male, per i suoi standard, neppure la fase difensiva, seppur utilizzata in una percentuale veramente ridotta. Stephens invece è tennista completa, e non lo scopriamo ora: la fase difensiva sembra il primo dettaglio che ha inserito nel suo tennis, vista la naturalezza con cui arriva sulla palla e la rigioca con apparente sforzo pari a zero, probabilmente favorita da un’ottima struttura fisica. Però sa costruirsi il punto con grande pazienza, aspettando l’occasione per attaccare e far male col dritto.

Potremmo trovarci di fronte a un bel confronto di idee: attacco senza sosta contro difesa a oltranza. La fortuna di Ostapenko è che la risposta di Stephens non è sembrata così incisiva come poteva essere quella di Kvitova, o Svitolina, o anche la Collins di questo periodo. Avendo passato tutti gli ultimi 10 giorni a lavorare molto il servizio, col kick, cercando di limitare il più possibile la possibilità di essere attaccata senza sosta, questo potrebbe darle modo di iniziare molti scambi anche se non ci sarà un’alta percentuale di prime palle in campo, mentre in risposta sarà libera di esprimere la sua solita, elevatissima, pericolosità fin dai primi colpi.

Immaginando uno scenario, però, da finale, il fatto che Stephens abbia finora sempre vinto quando si è trattato di giocare per un trofeo non può che renderla favorita (è un vantaggio perlopiù psicologico). Ostapenko, dopo aver perso le prime 3 finali, ha vinto le ultime 2. Nelle prime la sensazione era sempre quella di una giocatrice che affrontava l’evento con troppa ansia. Nelle ultime, le cose sono cambiate: a Parigi, al di là del vantaggio di Halep per 4-6 0-3, lei aveva forse interpretato il match nel miglior modo possibile. A Seoul la situazione era abbastanza simile e dopo il primo set perso contro Haddad Maia è ripartita furiosa fino al 6-1 3-1, chiudendo poi 6-4.

Diego Barbiani

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