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Er cucchiaio de Federer, Indian Wells e match point

E alla fine Delpo vinse. Sembrava incredibile, durante la finale di ieri, rendersi conto che Del Potro ancora non avesse mai alzato un trofeo Master 1000 al cielo, eppure era esattamente così.

“E proprio ieri lo doveva fare?!?”, diranno i nostri piccoli federaficionados.

Sì, proprio ieri. E probabilmente era destino, visto anche l’andazzo di un match che ha fatto fatica a decollare, complice il peggior Federer dagli US open a oggi, ma che poi è diventato una battaglia di colpi giocati a tutto braccio, scaramucce a rete, ribaltamenti di scena e soprattutto una guerra di nervi. E in come tutte le guerre di nervi il finale si è rivelato catastrofico, con un contendente che è palesemente crollato mentalmente, finendo per rovinare un intreccio che era andato in scena fino a quel fatidico ultimo tie break salutato dalla folla con un boato dopo due set, quelli sì, di puro spettacolo.

A uscirne vincitore era Palito, che ringraziava Babbo Natale Federer e si portava a casa meritatamente il primo trofeo importante da 9 anni a questa parte (Davis a parte, ovviamente), dando finalmente (e lo spera il Tennis in primis) un calcio a tutti gli infortuni che hanno lasciato quello 0 accanto alla voce Master1000 per troppo a lungo.

Era destino che prima o poi succedesse: come sembra essere destino che Federer perda ogni anno almeno una partita con match point a favore.

Premettendo che sembra allucinante dove trovare un difetto a colui che ha osato dove nessuno forse potrà, resta incomprensibile, ancora oggi, come lo svizzero riesca a inalberarsi da solo in match già praticamente vinti. Se già in semifinale il fratello brutto di Roger aveva fatto di tutto per perdere senza riuscirci, ieri è riuscito a battere se stesso: secondo set quasi buttato alle ortiche con un servizio di seconda, sull’ennesimo set point, sparato sui piedi di Del Potro e capolavoro da 40-15 mentre serviva per il match, con tre punti partita giocati uno in maniera peggiore dell’altro. Specie il secondo e il terzo gridano vendetta per i suoi tifosi, buttati con due palle corte alla “sborone” per chiudere in bellezza, salvo errare clamorosamente. Come volere fare Totti e finire per fare la figura del Pellé… Il tutto poi giocando il peggior tie break decisivo della storia.

Certo, vedendola con un minimo di obbiettività non si capisce come sia possibile che un quasi trentasettenne riesca ancora a fare match pari con gente del calibro di un Del Potro in forma. Che un Federer non certo al meglio, per quanto in alcuni momenti anche ieri abbia raggiunto i suoi picchi inarrivabili, tenga testa a chi dovrebbe avere tutto dalla sua (fame, forma, età, voglia, fisico) la dice lunga non solo, come già lungamente detto in passato, sul carisma dello svizzero ma anche, e lo diciamo con un po’ di scetticismo, sul panorama odierno. Il fatto è che probabilmente l’argentino avrebbe potuto (e forse dovuto) vincere anche ben più agilmente di come in fin dei conti è avvenuto.

Questa finale in ogni caso ci restituisce un Juan Martín pronto per palcoscenici più alti, e visti coloro che popolano le parti alte del ranking non può che essere un bene. Il suo più grande pregio è quello di non mollare mai e di ridurre al minimo gli errori nei momenti che contano, principio fondamentale dei campioni, insieme alla capacità di andarsi a prendere le sue occasioni quando gli passano davanti, al contrario di molti altri suoi colleghi. Se infatti si potrebbe pensare che Federer ieri abbia buttato via un match a suon di cavolate, dall’altra parte della rete c’era uno che al momento opportuno ha avuto la maturità di aspettare e zitto zitto senza dannarsi troppo lasciare che il suo ben più esperto avversario sparasse ai piccioni, raccogliendone i frutti. E verrà il momento che dei regali altrui Delpo non ne avrà neanche più bisogno.

Ma magari non diciamolo agli spettatori, ai quali dopo una partita in cui si è visto veramente di tutto, con colpi di una qualità e di un’intensità assoluti, è stato rovinato un finale al quale si era arrivati in un crescendo di tensione raramente visto da un anno in qua. Come se nel momento in cui Kevin Spacey ritira le sue cose all’uscita dalla centrale di polizia ne “I soliti sospetti” partisse il segnale del “fine trasmissioni Rai”.

E’ stata, insomma, una finale senza il finale. Rovinata da un “mo je faccio er cucchiaio”…

Davide Bencini

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Davide Bencini

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