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Queste ragazze sono indistruttibili

La vita è pazza, tanto da non trovarci un senso. Un giorno sei a pezzi, un giorno sei in cima al mondo. Un giorno non puoi camminare, un giorno ti ritrovi a correre lungo il campo ed a fare quello che più ti piace. Il traguardo raggiunto da Sloane Stephens e Madison Keys, allo US Open, è qualcosa di sensazionale. Così, a sessant’anni di distanza dal primo titolo Slam di Althea Gibson (proprio allo US Open), ci sarà una finale tutta tra tenniste afroamericane allo US Open. La particolarità, semmai, è che non sarà in campo nessuna delle Williams.

Erano quasi 16 anni che gli Slam di marca USA, nel femminile, erano tutti esclusivamente un’affare delle sorelle più celebri del tennis mondiale. L’ultima a frapporsi in questo duopolio (che per tanti anni ha assunto le sembianze di una dittatura) fu Jennifer Capriati, all’Australian Open del 2002. Ora Serena non c’è, dopo aver appena dato alla luce la prima figlia. Venus, invece, si è vista stoppare da una scatenata Stephens. La stessa Stephens che solo a metà marzo girava per Indian Wells nei panni di opinionista per Tennis Channel e rivelò di aveva subito un intervento chirurgico per curare una frattura da stress al piede sinistro. Cominciò la riabilitazione con un tutore enorme, poi si fece installare all’altezza del ginocchio un nuovo che creava una prosecuzione artificiale dell’arto verso terra, con il resto della gamba rimasto sospeso. Furono 15 settimane lunghissime, quasi 4 mesi dove non poteva camminare, figurarsi pensare di ritrovarsi a battere in semifinale allo US Open chi ha sempre considerato come una leader assoluta. Invece, 6-1 0-6 7-5 a Venus Williams, che dopo 15 anni era tornata a giocare 3 semifinali Slam in una stagione e cercava, ora che mancava la sorella, l’acuto a 37 anni in un Major che l’avrebbe saldata ancor di più nella leggenda. Così non sarà, ma semplicemente perché si è trovata di fronte una ragazza che ha giocato soprattutto negli ultimi game come fosse posseduta da qualche entità sovrannaturale. Il passante di rovescio di Stephens giocato sul 5-4 Venus 30-30 rimane e rimarrà come uno dei punti più belli dell’intero torneo. L’attacco di Venus, in slice, non era molto teso ma l’aveva colta in controtempo ed era sufficientemente profondo da pensare di aver preso il punto. Stephens, quasi danzando, in una frazione di secondo si è fermata, ha cambiato direzione, ha fatto due passi ed ha giocato il passante di rovescio più bello della sua partita.

È cambiato, da parte della ex numero 934 del mondo (e parliamo di un mese esatto fa), il modo di interpretare la partita, di vivere il momento. È cambiato il punto di vista sull’intera carriera, prima offuscata dall’obbligo di essere una futura Williams ora molto più libera di poter essere chi vuole lei. Sono scatti mentali che poi si ricollegano a tutto il gioco e riescono a rendere in quel modo, strepitoso, con cui Stephens sta giocando da Toronto in avanti. Quattordici vittorie e due sconfitte tra cui: due contro Petra Kvitova, due contro Julia Goerges (un’altra delle più in forma in estate), una contro Angelique Kerber, una contro Venus Williams. A Washington, prima dell’inizio di questo cammino, perse 7-6 6-0 contro Simona Halep. Era il secondo match dal rientro, seconda sconfitta consecutiva: “Spero di vincere qualcuna delle prossime partite…” diceva, sorridendo, in conferenza stampa.

Keys è un’altra che aveva un enorme conto in sospeso con la sorte. Dopo la miglior stagione, in termini di continuità, della carriera è stata vista costretta ad un intervento chirurgico al polso. Il dolore andava avanti, secondo quanto dichiarò a giugno in un’intervista a WTA insider, dallo US Open 2015 ma nel 2016 furono tanti i forfait mentre l’attività agonistica si ridusse al minimo sindacabile per avere un ranking “completo”: 16 tornei. La situazione peggiorava con l’andare avanti dei mesi, “volevo finire i miei match a Pechino così da poter piangere nello spogliatoio dal male che avevo”. A fine stagione, dopo il primo Master in carriera, il primo intervento chirurgico a cui seguirono 3 mesi di stop prima del tentativo di rientro tra Indian Wells e Miami. Il polso però non era a posto e dopo una stagione sulla terra disastrosa la decisione di fare ulteriori analisi prima di scoprire che c’era bisogno di un nuovo intervento: “Guardavo Lindsay (Davenport, nda) durante il match contro Petra Martic (al Roland Garros, nda) a momenti scoppiavo a piangere. Non ce la facevo più. Dovevo risolvere la situazione una volta per tutte, anche se mi fosse dovuta costare l’intera stagione”. Lo stesso medico che l’ha operata la seconda volta diceva alla madre: “Mi chiedo come abbia fatto a giocare in questa condizione, il polso è ridotto malissimo”. Dopo l’intevento, 10 giorni di assoluto riposo sul divano a passare il tempo con Netflix e le serie tv, con la possibilità però di levare il gesso quanto prima, visto che Wimbledon rimaneva a poche settimane di distanza: “Se ho dovuto sgobbare per tutta la stagione su terra per saltare quella sull’erba, potrei uccidere qualcuno”.

Due mesi dopo, è tornata protagonista in un Major anche lei. Se Stephens aveva raccolto una semifinale nel 2013, Keys ne ha trovata una nel 2015. Entrambe in Australia. Madison ha impressionato contro Vandeweghe, dominando il match 6-1 6-2. Ora, per entrambe, la finale. Sarà terreno oscuro per l’una come per l’altra e giocare il match più importante della loro giovane carriera contro un’amica forse ridurrà lo spettacolo a favore di tanto nervosismo. O forse no. “It’s a miracle! Unbreakable! They alive, dammit: women are strong as hell!” (“È un miracolo! Sono indistruttibili! Sono vive, dannazione: le donne sono fortissime”.

Diego Barbiani

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