“Ho buttato Pete giù dalla vetta. Dopo ottantadue settimane al vertice della classifica, adesso deve alzare gli occhi verso di me. Sono il dodicesimo tennista a essere il numero uno nei due decenni da quando hanno iniziato a tenere una classifica computerizzata. Il secondo a telefonare è un giornalista. Gli dico che sono contento del ranking, che è una bella sensazione essere il migliore possibile. È una bugia. Non è affatto ciò che provo. È ciò che vorrei provare. È cioè che ci si aspetta che provi, quello che mi dico di provare. Ma in realtà non provo niente”.
Così scriveva Andre Agassi nella sua leggendaria autobiografia Open, a proposito del 10 aprile 1995. Uno dei tanti momenti manifesto della complessa e tormentata personalità di Andre, eternamente diviso e insoddisfatto. L’impresa della scalata al numero 1 non era però iniziata con una vittoria su un campo da tennis, ma con la storica decisione di tagliarsi i capelli e presentarsi ai nastri di partenza del 1995 con un nuovo look: cranio rasato, bandana e pizzetto. Basta bugie e ipocrisie su quei capelli assurdamente lunghi, colorati e finti. Spazio al vero Andre che è anche un nuovo Andre.
Inizia il ’95 giocando e vincendo per la prima volta gli Australian Open, battendo Sampras in finale. Vince a San Jose, si ferma in semifinale a Philadelphia e arriva in finale sia a Indian Wells che a Key Biscane. In California vince Pete, in Florida vince Agassi. Tanto basta per effettuare il sorpasso e diventare il numero 1 del mondo. Ci rimarrà fino a ottobre, quando Sampras si riprenderà il comando all’indomani della vittoria agli US Open. Dopo aver raggiunto il top, Agassi passerà due anni infernali, sia sul piano personale che tennistico, toccando il fondo e uscendo dai primi 100 nel 1997.
Tornerà, ancora più forte per scrivere altre pagine, nella storia di questo sport e di un libro diventato cult.
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