Forse il vero Nadal avrebbe liquidato Dimitrov in tre set, ma 4 ore e 56 minuti non sono una maratona, sono un tempo sufficiente a diventare amici, a mettere in piedi una famiglia, un’azienda, un evento. Rafa ha meno colpi di prima, ma forse ancora più voglia, dunque va ripreso in considerazione per qualsiasi vittoria si metta in testa di ottenere.
La verità è che avevamo accantonato questa ipotesi, e ormai guardavamo lui (e Federer) quasi con tristezza. Qualche mese fa, quando Roger andò ad inaugurare la Academy dello storico rivale, guardavamo quelle immagini con un po’ di nostalgia, quasi con affetto. War is over, si pensava. La guerra è finita, andate in pace. Non c’erano più Federeriani, Nadaliani. Non esisteva più “Fedal”, niente di niente. La battaglia, quella vera, era in altri lidi. Murray e Djokovic si giocavano la vetta, quella vetta che in un tempo nemmeno troppo lontano era affare loro, mentre loro erano impegnati a parlare del passato, a quanto fosse stata bella la rivalità, a quanto fosse stata eccitante.
Non c’è nulla di male a dire che tutti (quasi tutti) consideravano Nadal un giocatore finito, almeno a certo livelli. Non arrivava in una finale slam da Roland Garros 2014, fino ad oggi erano ormai più le volte che usciva durante la prima settimana di uno slam o che proprio non partecipava per nulla, tra infortuni e sconfitte. Non si reggeva praticamente in piedi, ultimamente. Stanco, deconcentrato, quasi demotivato. Non si parlava di ritiro, ma l’idea che potesse tornare ad alti, altissimi livelli era accolta ormai tra risolini, frasi tipo “certo, certo, come no”. E invece.
E invece, signori, saliamo sulla DeLorean e torniamo in guerra, mettiamoci l’elmetto. Bentornati Federeriani, bentornati Nadaliani. Fedal, eccolo! Federer-Nadal come nel 2009, quando erano indiscutibilmente i primi due giocatori del mondo, anche per per la classifica, che li vedeva lassù ininterrottamente da circa 4 anni, quando l’appuntamento tra i due era fisso, non certo una sorpresa. Adesso si ritrovano sulla linea del traguardo, dopo sei anni, dal Roland Garros 2011. Vinse Nadal. Come spesso accade, tra l’altro. Nelle finali dei Majors il bilancio è 7 a 2 per lo spagnolo. Feder ha vinto solo a Wimbledon, in finale, contro il maiorchino.
E a proposito di numeri, Rafa, a Melbourne, è avanti 3 a 0 su Roger. Finale 2009 (la partita più bella, secondo chi vi scrive, tra i due: terzo e quarto set giocarono a livelli marziani), semifinali 2012 e 2014.
I numeri insomma non sono dalla parte di Federer, come d’altronde non lo sono per tutta la sua carriera, negli scontri diretti contro l’amato/odiato rivale, nemesi tennistica per eccellenza. Come hanno scritto gli amici di Tennispotting, ieri, ogni volta diciamo che la partita tra i due sarà “l’ultima volta”, e poi ce li ritroviamo sempre qui, tra i piedi. Incombenza che tutti noi, appassionati e addetti ai lavori, ci sobbarchiamo più che volentieri. Forse per affetto, forse perché vedere quei due che si sfidano, che fanno “la guerra”, ci fanno sentire un po’ più giovani, ci ricordano qualcosa. Ed ognuno di noi ha un Federer-Nadal. Quindi, signori, andiamo in guerra. Torniamo in guerra. Evviva la guerra. Almeno per un’ultima volta. Forse.
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