A Flinders Park nel 1988 si gioca la prima edizione dell’Australian Open 2.0, l’edizione del rilancio dello slam, fino ad allora, povero. Tra le donne la finale è sùbito una delle migliori possibili, in campo due epoche a confronto: da una parte una signora ormai di 33 anni, colei che ha disputato più finali nei tornei del Grande Slam, Chris Evert, e dall’altra parte della rete una diciottenne che ha altrettanta intenzione di scrivere la storia, già campionessa al Roland Garros e numero 1 del ranking, Steffi Graf. La partita – tra le altre cose, prima finale di un Major a giocarsi indoor – è a senso unico. Graf domina in lungo e in largo e, solo sul 6-1 5-1, un guizzo di classe di “Chris America” riesce a ripagare il pubblico del biglietto, prolungando il set e l’incontro fino al tie-break, che sarà comunque di marca tedesca.
L’ultima sua finale a livello Slam, la trentaquattresima, più di ogni altra sua collega, con un bilancio però di poco positivo: 18 vittorie e 16 sconfitte. Un passaggio di consegne, la sua avversaria ormai da due anni a questa parte non le fa sconti, la batte per la quinta volta consecutiva (ai sette successi iniziali di Evert negli scontri diretti, seguiranno otto vittorie di Steffi Graf, l’ultima nella semifinale di Wimbledon del 1989) e con la conquista del titolo australiano si lancia nell’impresa del Golden Slam.
Uno degli ultimi guizzi di Chris Evert, la regina del tennis per quasi un ventennio, più di 150 tornei vinti all’attivo (le statistiche ufficiali della WTA ne riportano 154, alcuni ne accreditano 157) dal primo successo a 16 anni nel 1971 all’ultimo, quasi trentaquattrenne, nel 1988, seconda soltanto alla sua rivale di sempre, Martina Navratilova. Prima ad occupare il vertice del ranking WTA nel 1975, posizione che nei successivi dieci anni è stata sua complessivamente per 260 settimane, meno soltanto di Graf, Navratilova e Serena Williams.
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