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Don’t cry again, Argentina

Perciò ho scelto la libertà
Mi sono data da fare, ho provato tutto
Ma, come mi aspettavo,
Niente mi ha impressionato

Come Evita Peron, che ha dovuto spiegare al Paese dei perché delle sue scelte prima di essere venerata e santificata, Juan Martin Del Potro ha dovuto -e dovrà ancora- riprendersi il cuore dei suoi connazionali. Non che non sia già uno dei figli prediletti del tifo albiceleste ma ci sono stati giorni bui, giorni di lotte e rifiuti, giorni in cui era meglio andare via, stare da parte, lasciare i prepotenti parlare.

I giorni in cui Juan Martin ha preferito, come quasi ogni tennista, i propri scopi, i propri traguardi, la legittima scelta di andare avanti con le proprie scarpe, senza doverlo giustificare. Giorni successivi a quel Novembre del 2008, quando dolorante arrivava da Shanghai, che quel Master se lo voleva giustamente giocare; chi se ne importava delle parole al veleno di Nalbandian, dei giornalisti argentini che scrivono e scrivono. Che gli tirarono tutto addosso quando poi fu costretto a giocare Acasuso, contro la Spagna priva di Nadal, in casa propria, Lopez e Verdasco che festeggiano e un boccone amaro e troppe parole da digerire, sopportare, accettare.

La distanza allora fu totale e in mezzo infortuni, operazioni, addii pronti e mai troppo pronti al tennis, per poi trovare coraggio e pace, tutte insieme, tutte un tuffo al cuore: il ritorno e il sollievo, un’altra medaglia olimpica e un team che conta su di te.

Si potrebbe pensare che dopo aver battuto la Gran Bretagna dei fratelli Murray -neo numeri 1 del mondo in singolare e in doppio- il grosso sia fatto; niente di più sbagliato, gli argentini lo sanno. Almeno, dovrebbero saperlo, l’esperienza insegna. Quattro finali perse non sono un caso: Vilas e Clerc nel 1981 contro gli USA, nel 2006 contro la Russia più forte (Davydenko, Safin e Tursunov contro Nalbandian, Chela, Acasuso) e, dopo il 2008 e le furiose polemiche interne, con quella battuta infelice di Del Potro prima dello scontro la Spagna di Nadal: “Gli faremo calare le braghe a Rafa”; Rafa però non andò e persero lo stesso. Nel 2011 la sconfitta in casa della Spagna di Nadal -stavolta presente- non contribuì a risanare i malumori tra i frequentanti dello spogliatoio. Da quando David Nalbandian si è ritirato però c’è un solo giocatore a dettare i fili ed è ovviamente Del Potro. Anche con Juan Monaco i rapporti sono adesso distesi e tutti sembrano guardare verso un solo obiettivo: quella maledetta insalatiera che non ne vuol sapere di farsi un giro dalle parti di Buenos Aires.

La Croazia è uno scoglio durissimo: a Zagabria ci saranno tutti, da Coric a Karlovic, fino al numero 7 del mondo, Marin Cilic, autore di una grande stagione, pronto per la gloria finale. Ivo è tornato giusto in tempo per dare una mano e il giovane Borna si dice guarito e pronto a dare tutto. Il vero problema degli argentini è chi schierare in singolare, su una superficie mediamente veloce indoor: probabilmente il prescelto sarà Leonardo Mayer, il più affidabile. Ma Del Potro stavolta deve far parlare il proprio dritto soprattutto e vincere i suoi due singolari, compreso quello contro Cilic o lo scontro neanche inizierà davvero, considerato che il doppio croato con Dodig è già più solido e rodato.

La verità è che non ti ho mai abbandonato
Neanche nei giorni più impervi
Della mia folle esistenza,
Ho mantenuto la mia promessa
Non essere così distante

 

E’ la preghiera di un Del Potro più argentino che mai, che nell’Argentina ha ritrovato la forza di rimettersi in gioco e di non gettare tutto via. E che sogna di avere in faccia un ghigno, domenica sera, da poter regalare a qualcuno che probabilmente vivrà con emozioni contrastanti una finale che vorrebbe vivere ancora. Tra un rally ed un altro.

 

Rossana Capobianco

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Rossana Capobianco

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