TENNIS – WIMBLEDON – Di DANIELE AZZOLINI. E lui è lì, sempre lì, che sgobba e corre e sa ancora stupire. Scienziato e artigiano, pensieri alti e mani che sanno costruire. Ancora lì, che resiste e tiene duro, anche quando non si capisce come faccia.
È lì che resiste a tutto. All’età che va per i 35, agli ace di Marin Cilic, che sono 23, ma lui gliene fa 27, ai due set di vantaggio del croato, che lo aveva battuto nella semifinale di New York due anni fa e poi non si erano più visti. Resiste persino a tre match point, che per buona sorte capitano sul suo servizio. Ma va bene così, è ancora una volta la sua giornata, bella e complicata come altre in cui ha mostrato la sua vera essenza, tanto umana da sconcertare se avete tempo di riflettere sul fatto che giochi divinamente bene a tennis.
Roger Federer agguanta la semifinale al termine di un match perso non meno di tre volte, percorrendo una strettoia che sembrava ogni momento fosse lì per chiudersi. Rimonta, ribatte, rimedia, improvvisa, inventa e si arrangia, cento volte lontano dal suo tennis migliore, ma con dentro una voglia che sembra un fuoco d’artificio. Non sono match normali quelli con giocatori come Cilic, forse perché i primi a non esserlo sono proprio loro. Uno che tira colpi impossibili, il croato. Dove li tiri, non sempre è così chiaro, ma a volte lo fa in grazia delle divinità del tennis, e allora sono dolori.
Ho visto Federer chinare la testa zazzeruta, quando Marin ha preso il sopravvento. Più infastidito da se stesso che dal gioco del croato. Quattro game storti, fra il tie break del primo e il break nel terzo game del secondo set, gli sono valsi una giornata all’inseguimento. Fatica tanta e possibilità di vittoria ridotte al minimo. Però ha ritrovato la condizione, Roger, in questo mese di tennis dopo l’intervento al ginocchio, le influenze e i mal di schiena. Non il tennis più bello, non lo scatto da fermo, ma la resistenza alla fatica sì, e lui a quella si è aggrappato.
Ha recuperato il terzo in un amen, pronto ad approfittare del primo passaggio a vuoto di Cilic. Il quarto lo ha portato a casa non si sa bene come: Cilic ha fallito il primo match point sul 5-4 (rovescio lungo), il secondo sul 6-5 (ace di Roger) e il terzo nel tie break (sul 7-6, servizio vincente del vecchio campione). Ma anche Federer è incespicato su tre set point, e ha dovuto fare gli straordinari. En passant, ha firmato il colpo più bello del match, un rovescio trattato di polso, in allungo, che si è spento sulla riga di fondo e ha lascia Cilic imbalsamato a chiedersi come fosse stato possibile.
Solo nel quinto Roger ha preso possesso dell’incontro. Fra la gente dei Championships c’era chi sorrideva, chi si dava pacche sulle spalle, chi diceva, «lo sapevo». Federer in questo è davvero irraggiungibile, l’unico che tenga tutti con l’animo sospeso. «Ho combattuto, ci ho provato. È stato emozionante. Erano due anni che non giocavo cinque set, ero curioso di sapere come sarebbe finita. Non male, vero?». Affatto. In semifinale c’è Raonic, con la sua scorta privata di numeri uno, Moya, McEnroe. Federer ha sorriso. Lui è sempre lì.
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