TENNIS – Di Andrea Scodeggio
“Rimango coi piedi sul limite di questo mondo, in bilico lo stesso se scivolo e cado giù” Cantava così, in una delle sue prime canzoni, Samuele Bersani e senza saperlo ha espresso un concetto che sembra sempre più appartenere al destino di Rafael Nadal.
Se per il cantautore romagnolo la caduta era più metaforica, quella dello spagnolo è sempre più reale, in un continuo precipitare e rimanere in bilico tra le sue ambizioni di ritorno al vertice e l’amara verità della delusione. Le sconfitte segnano la vita di ogni persona, figurarsi quella di un atleta abituato a vincere come lo spagnolo e costretto sempre più a rifugiarsi su dichiarazioni di circostanza, con musi lunghi e arrendevolezza inusuale. Promesse di rinascita sono continue, ma i risultati nell’ultimo anno e mezzo bocciano totalmente i tentativi e ciò che resta, infine, è solo l’amarezza di un capo chino e l’uscita dal campo con un cenno di mano abbozzato per i supporter che lo stanno ancora aspettando.
Eppure Nadal è ancora presente, viene visto sempre come uno spauracchio ed un’impresa batterlo, tanto che ogni caduta, l’ultima a Buenos Aires contro l’austriaco Dominik Thiem, fa sempre molto rumore e risulta sempre incredula. Ciò che sta diventando normalità, inutile negarlo perché sarebbe ingiusto e poco rispettoso con la realtà, ha sempre il gusto dell’impresa, della vittoria prestigiosa perché è comunque Nadal. Il nome incute timore, ma l’atteggiamento passivo e soprattutto il logoramento che si manifesta con il passare dei minuti di ogni match, quelli che una volta avrebbe lui vinto sfinendo l’avversario e non il contrario, è palese. E’ avvenuto con Verdasco, quando era davanti nel quinto set di un break, è accaduto anche con Thiem, dove ha addirittura sprecato un match point.
Nella conferenza stampa post sconfitta, lo spagnolo si è lanciato in una sorta di auto convincimento, un out/out per spronarsi: “Due opzioni: affondare o sforzarsi a riemergere”. Dalla dichiarazione si evince come le sberle auto inflitte siano un disperato appiglio a ciò che è rimasto: la figura, il passato, ma soprattutto la volontà di non concludere indegnamente il finale di carriera.
Gli acciacchi aumentano, il gioco è sempre più corto e nemmeno l’amata terra riesce più a soccorrerlo, eppure ci si aspetta sempre che la caduta termini, che prima o poi lo spagnolo tocchi quel fondo per poi iniziare la risalita. Sembrava aver trovato una quadra sul finire della stagione scorsa e l’inizio di questa, prima di incappare in una rivincita indesiderata di Verdasco in Australia che gli ha minato le poche certezze che sembrava aver trovato. Quella partita ha fatto riemergere il baratro e la paura di dover ricominciare nuovamente tutto quanto daccapo. Paura che sta prendendo il sopravvento sullo spagnolo, manifestando un lato nascosto, quasi inaspettato: la fragilità emotiva.
Appare un controsenso parlare di “braccino”, di pressioni o di “fifa”, perché andando al sodo si concretizza su questo, ma le indicazioni che stanno emergendo hanno mostrato un calo mentale e fisico non indifferente. Quello che una volta era considerato il modello, il prototipo di giocatore la cui tenuta mentale non poteva essere scalfita, eccola invece non solo scalfirsi ma squarciarsi sotto i colpi di giocatori che mai si sarebbero azzardati a batterlo. Lo si è sempre dipinto come una macchina perfetta (un discorso oggi riassumibile su Djokovic, non a caso) ma ora che gli ingranaggi sembrano imballati, è l’animo umano a farne le spese. Se adesso appare più umano e di conseguenza suscita tenerezza, bisogna ammetterne anche l’inefficacia del suo tennis che è poi quello il punto fondamentale. Allo stesso spagnolo dubitino interessino nuove simpatie o messaggi d’incoraggiamento, ma piuttosto preferisca avvertire di nuovo il timore negli occhi di chi lo affronta e non spavalderia.
La sensazione è che da Nadal ci si attenda sempre qualcosa, ma questa saturazione sta diventando insostenibile e l’ennesimo schiaffo subito ce lo ha riconsegnato ancora lontano dal mantenere le promesse fatte. Non si può dare per morto un campione finché non sarà lui stesso a decretarne la fine, ma la tremenda sensazione che questa stagione possa darci più di una risposta in questo senso, appare molto concreta. Starà allo stesso Nadal smentirci, a farci capire che tutte le considerazioni fatte sono solo illazioni e non drammatiche conferme di un declino sempre più profondo ed una caduta sempre più rovinosa. Il tennis, gli appassionati, se lo augurano, perché non può essere questa l’ultima spiaggia di un campione.
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