TENNIS – AUSTRALIAN OPEN – Di ROSSANA CAPOBIANCO – Per molti è una colpa, ma a vent’anni come a quasi 35, Federer è sempre lì a giocarsela. In tutta la sua carriera, da favorito o sfavorito, con acciacchi o al meglio della forma, c’è sempre stato. Non ha avuto timore di batoste e di “sporcare” record e testa a testa. E’ davvero quindi una colpa?
Le virgolette sono d’obbligo: non dovrebbe e non è, infatti, essere una colpa. Dalla sua prima finale Slam sono passati tredici anni. Così come dalla sua prima semifinale. Ieri, Roger Federer era ancora in semifinale Slam, la trentanovesima della sua incredibile carriera. E quale sarebbe allora la sua “colpa”?
Quella di esserci. Nel bene e nel male e in tutti questi anni. Nel 2003 affrontava Roddick, Hewitt, Philippoussis, tutti coetanei, tutti adesso ritirati. Di quella generazione, è rimasto solo lui e un acciaccatissimo Tommy Haas, che torna sempre meno e ogni tanto ci delizia di un tennis che abbiamo già imparato a rimpiangere.
Federer c’è sempre stato. Contro la generazione al tramonto prima di lui, quando batteva Sampras sul Centrale di Wimbledon, quando batteva un coriaceo Agassi in finale a Flushing Meadows; quando creava nella testa dei coetanei Roddick e Hewitt, Safin e compagnia bella una voragine di inferiorità. C’era al fiorire di una generazione di super-atleti, Nadal su tutti, quando il bambino spagnolo si fece mostro; Nadal giganteggiava sulla sua terra battuta e lui, Roger Federer, all’appuntamento finale con il mostro si presentava sempre. Non accadeva sempre a Rafa, spesso bloccato da altri avversari o acciacchi su altre superfici, prima di esplodere definitivamente.
C’è sempre stato, con mononucleosi e mal di schiena, senza fermarsi mai e facendosi prendere a pesci in faccia da giocatori come Del Bonis, Brands, nei momenti meno felici, più dolorosi e confusi.
E c’era all’alba di Novak Djokovic, contro il quale ha giocato epiche battaglie, dato e preso lezioni.
C’era a 20 anni e c’è a quasi 35. Non si accontenta, Federer. Non si accontenta di perdere ai quarti o agli ottavi da giovincelli sbarbati o, come sarebbe normale alla sua età, di saltare qualche appuntamento importante. Numero tre del mondo ancora, lui c’è, con un solo dominatore contro, più in fiducia che mai e con pochi avversari (quasi nessuno) che possano tenergli testa. E non si nasconde, battaglie o umiliazioni che siano, la motivazione resta. Ed è la sua “colpa”.
Quella di “sporcare” dei numeri che potrebbe tenere a proprio vantaggio, come i testa a testa, la psicologia dell’evitare i confronti per tenersi strette l’autostima e la fiducia. No, non è così che vede il tennis, Roger. E’ così che molti suoi tifosi lo vorrebbero, così che gli addetti ai lavori o gli ex campioni consiglierebbero.
Ma forse, in fin dei conti, ha ragione lui. Togliamo le virgolette, togliamo le colpe. Che le terre sono già aride intorno e incolpare un orgoglioso veterano sarebbe solo presuntuoso.
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