Dal nostro inviato a Melbourne, Luigi Ansaloni
MELBOURNE. Domenica mattina chi ama il tennis e non è tifoso di Novak Djokovic o Andy Murray puo’ tranquillamente dedicarsi ad altro, piuttosto che vedere il quarto capitolo australiano della finale tra i due classe 1987. Fidanzate, mogli, mariti, compagne e amanti saranno probabilmente felici di tutto ciò, e chi scrive si rivolge a loro: se il vostro lui (o la vostra lei, perchè no) non vuole portarvi da Ikea perchè deve vedersi una finale “dove non si sa davvero come va a finire”, sta spudoratamente mentendo. Oktennis come servizio di coppia, insomma.
Scherzi a parte. La semifinale di stasera (australe) ha ribadito alcune cose, tanto per non dimenticarle affatto. Non sia mai. Nell’ordine:
1) La generazione nata negli anni Novanta col vincere nel tennis poco ha a che fare. Capiterà, prima o poi, per forza di cose, ma di certo non sarà merito loro. Piuttosto, quelli nati prima, si romperanno, si stancheranno, invecchieranno, si ritireranno. Ma tra i due decenni, allo stato attuale delle cose, proprio non c’è storia.
2) Si, va bene. Raonic ha sfiorato l’impresa. Sfiorato. Murray non ha fatto assolutamente nulla di che. Ha fatto il solito gioco: aspettare, ribattere, correre, imprecare contro qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. Raonic, quello che secondo qualcuno diventerà non troppo tardi il numero uno del mondo, ha buttato via una partita che difficilmente poteva perdere. Va bene, qualcuno dirà: eh si è infortunato. Quando era già sotto di un break nel quarto. A quel punto, proprio, non ci doveva arrivare. Perso il quarto, poi, è crollato. Ti saluto e grazie, generazione 90’s. Milos (che ricordiamolo: quest’anno compie 25 anni, non è un bambino) ha perso contro uno dei Murray peggiori di sempre. Uno che ha la testa da un’altra parte. Uno che ha la testa alla moglie che a giorni lo renderà padre. E che ha ottime probabilità di farlo in coincidenza o quasi con la finale. Pensa un po’.
3) Il tennis di oggi si conferma sempre di più come sia più similare ad una maratona e alla geometria che ad un qualcosa di fantasioso e spettacolare. E’ una questione evolutiva, per carità. E’ capitato in altri sport, tra capitando (anzi: è già capitato) pure con una racchetta in mano. Pazienza, non è la fine del mondo. Certo, se voglio vedermi qualcosa in cui vince la resistenza, vado a vedere l’atletica leggera.
Detto questo, passiamo alla finale. Secondo l’opinione comune della gente, anzi del mondo intero, Murray non ha una sola speranza di battere Djokovic domenica. Non tanto per gli scontri diretti qui in Australia (Murray non l’ha vista mai col binocolo contro Nole da queste parti, e se qualcuno dice “eh ma lo scorso anno ad un certo punto”…se, certo, come no… ), ma perchè in questo momento proprio sono su due livelli diversi di gioco. Andy ha sempre fatto in campo le cose che fa l’altro 1987, ma le fa meno bene. Ha vinto contro l’attuale n.1 del mondo due finali slam, certo. Ma a Wimbledon e agli Us Open. Nel 2013 e nel 2012.
Muzza ha lo stesso tipo di tennis, ma più scadente. In più, l’altro è in straforma, Murray non ha mai impressionato più di tanto in questo torneo. Il numero due del mondo perderebbe la quinta finale qui, a Melbourne, il che rappresenterebbe un record o quasi (Nell’era Open, l’unico che avrebbe perso tante finali in uno slam tanto quanto il britannico sarebbe Lendl, suo ex allenatore, pensa un po’). E non mettiamo nemmeno in conto il fatto che Murray sarà stanco morto dopo le 4 ore di battaglia di venerdì sera, mentre Djokovic la pratica Federer l’aveva sbrigata già un giorno prima. Un giorno di riposo in più. Assurdità dello slam australiano, che fa overdose di partite i primi giorni per poi piazzare il venerdì solo una semifinale. Di sera, per giunta, distruggendo di noia chi è presente Down Under, tra l’altro. Specie quando fuori piove e non puoi nemmeno andare a St Kilda…
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