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Nadal, cambiare (allenatore) per non morire

WIMBLEDON – John McEnroe è forse l’emblema del talento più puro, del genio e sregolatezza che tutti noi vorremmo essere, almeno per un giorno. Anche vero però è che l’ex numero uno al mondo non è mai considerato un fine umanista, un saggio riflessivo a cui rivolgersi per superare le difficoltà esistenziali della vita. Eppure una perla gli è uscita, in questi giorni: “Cosa deve fare Nadal? Deve dannatamente cambiare allenatore”. Senza alcun dubbio, è la cosa più saggia che ho sentito in questi giorni a proposito della carriera dello spagnolo. Tutti i “Fab Four” hanno cambiato allenatore. Tutti. Anche più di una volta. Federer ha cambiato coach a 32 anni, Djokovic ha preso Becker per migliorare il servizio, Murray ha sentito la mancanza di Lendl per mesi e mesi, prima di rinascere con la Mauresmo. L’unico sempre fedele è stata Nadal. Che ok, ha pure un legame di parentela con zio Toni, che per lui è come un padre, ma possibile mai che il maiorchino non si sia reso davvero conto che cambiare è l’unica possibilità di non morire, agonisticamente parlando?

C’è chi giura che ci stia pensando, c’è chi bolla queste parole come eretiche. “Una stagione così può capitare”, si dice, puntando il dito più contro i guai fisici che su altro. Possibile, per carità, ma davvero la carriera di Nadal può essere riassunto in una parola, cioè “fisico”? “Non arriva sulla palla più come una volta, quindi i suoi colpi sono meno efficaci, lui lo sa e ha perso fiducia”. Tutto qui? La differenza tra un campione, un fenomeno e un immortale è davvero quella infinitesima (a volte) frazione di secondo? Chi vi scrive, non crede. Sicuramente Nadal non ha più la corsa di un tempo né il fisico, e a 29 anni ci può anche stare, anche perché Rafa è a questi livelli da 10 anni. Dieci. Mica da ieri. Anche vero però che lo spagnolo avrebbe il talento per cambiare. Per reinventarsi. Come ha fatto Federer, ad un certo punto. Nel 2013 ha provato di tutto: racchetta, allenamenti, movimenti. Tutto. Ad un certo punto si è reso conto, e ha salutato Annacone per affidarsi ad Edberg. Scelta potremmo dire azzeccata, senza dubbio. Lo svedese da un certo punto di vista lo ha reinventato, a Federer, e non è una cosa da poco. “Grazie – direte voi – con quel sovrumano bagaglio tecnico, è bastato che la schiena si rimettesse dritta e poi via liscio, altro che Edberg ed Edberg”. Mettiamo caso sia vero: cosa impedisce Nadal si fare altrettanto? Cosa impedisce Nadal di cambiare modo di giocare, di reinventarsi, di riscoprirsi, di ritrovare quel piacere di giocare che sembra totalmente aver perso? Insomma, Rafa: costa aspetti?

Luigi Ansaloni

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