TENNIS – Di Daniela Dolce.
Ci sono rivalità che hanno scritto la storia del tennis, nemici che non vorremmo mai affrontare, stagioni difficili, superfici troppo lente o troppo veloci, il caldo asfissiante e il maestrale. Ma quello di Mardy Fish è forse l’avversario più ostico che si possa incontrare lungo il cammino.
“Voglio ancora giocare a tennis” – Agosto 2014, una telefonata di quaranta minuti tra l’americano e USA Today ha l’aria di essere tutt’altro che un’intervista. È uno sfogo, è voglia di raccontarsi, è la liberazione di chi ha un peso troppo grande da poterlo tenere tutto per sè. Quello di Mardy è un vero e proprio macigno, un fardello che lo accompagna da ormai tre anni, da quando ha dovuto iniziare a fare i conti con il suo cuore. Quando dall’altra parte della rete non c’è il miglior servitore o il più grande ribattitore del mondo, non esiste tattica vincente. La battaglia è solo con te stesso.
Tutto era iniziato nel febbraio del 2012, dieci mesi dopo la vittoria nel torneo di Atlanta contro Isner e l’ingresso nella top 10 (il miglior risultato raggiunto in carriera dall’americano). In un match contro la Svizzera di Roger Federer, portato poi a casa dagli statunitensi: a Mardy era toccato Stan Wawrinka, che si era arreso solo dopo quattro ore e ventisei minuti al quinto set. Poi di nuovo il mese successivo, a Key Biscayne: nel cuore della notte, un sussulto dal letto della sua camera d’albergo – “Il cuore mi batteva talmente forte che ho creduto di morire” aveva raccontato l’allora 31enne pochi giorni dopo l’accaduto.
La diagnosi arrivava immediata dai medici di Vero Beach, in Florida: aritmia cardiaca. Mardy aveva deciso di sottoporsi subito ad un piccolo intervento per l’innesto di un catetere cardiaco. Operazione riuscita alla perfezione e, con le dovute precauzioni, l’americano poteva tornare a colpire la pallina. Ma, purtroppo, c’era qualcosa di più oltre quell’aritmia. Mentre il cuore riprendeva a battere regolarmente, l’ombra di un nuovo avversario avanzava a ritmo serrato: la paura.
Nei 18 mesi successivi, il tennis di Fish ha vissuto di alti e bassi, di piccole gioie e tante rinunce, spesso apparentemente incomprensibili ad uno spettatore qualunque seduto sugli spalti. Nello stesso 2012, il ritiro al secondo turno del torneo di Atlanta, da campione uscente, dopo aver perso il primo set contro Gilles Müller. Poco più di un anno dopo, a Winston-Salem: porta a casa il primo set contro Jarkko Nieminen, perde il secondo e, sul 3-2 del parziale decisivo, alza le mani. Attacchi di panico. Da quel momento l’americano è riuscito a disputare soltanto nove match, di cui quattro vittorie.
Il momento più brutto? Nel 2012 agli US Open, racconta Mardy, quando si è ritirato a pochi minuti dall’inizio del match di ottavi di finale contro Roger Federer. Poco più tardi, un nuovo attacco di panico, dopo aver varcato il gate nel volo di ritorno per Los Angeles: “Mia moglie era lì con me, altrimenti non avrei avuto la forza di farlo. Mi ha detto che avevo bisogno di scendere immediatamente dall’aereo. In quel periodo avevo praticamente un attacco d’ansia ogni 30 minuti, era quella la parte più brutta: non finivano mai.”
Sono passati due anni da quel volo per Los Angeles all’intervista con USA Today e Mardy forse inizia a sentirsi pronto, o forse non abbastanza. Nell’agosto 2014, gli attacchi di panico non sono più tanto frequenti e l’americano non deve più indossare un apparecchio di notte per misurare la frequenza cardiaca. Ma non è ancora riuscito a viaggiare o a trascorrere la notte da solo. Tra un tentativo e l’altro di tornare a calcare i campi da tennis, il golf appare l’unica scappatoia, un rifugio sicuro, lontano dalla pressione e dalle insicurezze. Ma il posto in cui più di ogni altro Mardy vorrebbe trovarsi è lo stesso che gli ha causato il trauma più grande: “Mi manca il tennis, mi manca trovarmi faccia a faccia con il mio avversario, in particolare nella stagione sul cemento nordamericano. Non so se riuscirò a farlo. È uno sforzo, una lotta quotidiana.”
Oggi, 28 gennaio 2015, mentre gli occhi del mondo del tennis sono rivolti a Melbourne Park, da Los Angeles arriva un cinguettio…
https://twitter.com/MardyFish/status/560468083702525952
A 17 mesi dalla sua ultima apparizione in campo, Mardy ha voglia di tornare. Ci prova ancora una volta, a 33 anni, ripartendo dal Challenger di Dallas, dove giocherà in doppio con Mark Knowles. E a marzo il singolare nel Masters 1000 di Indian Wells. Forse stavolta è pronto per davvero. È stata una lunga, lunghissima strada la sua. L’augurio, dal profondo del cuore, è che riesca a ritrovare quel sorriso e quel senso di libertà che solo un vero amore sa dare. Perché una cosa è certa: quello di Mardy per il tennis è un amore grande.
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