TENNIS – Mark Edmondson vinse a sorpresa gli Australian Open nel 1976. Da allora nessun tennista di casa è riuscito a conquistare il titolo: Cash e Hewitt si sono fermati al match clou, Rafter non è mai andato oltre le semifinali.
Trentanove anni fa. L’ultimo successo di un tennista di casa agli Australian Open risale addirittura al 1976. A trionfare fu un protagonista del tutto inatteso, Mark Edmondson, all’epoca classificato al 212esimo posto del ranking mondiale e tuttora il vincitore di uno Slam con la classifica più bassa dall’introduzione del computer. Il ragazzo del Nuovo Galles del Sud, classe 1954, batté a sorpresa nel match clou il ben più blasonato connazionale John Newcombe, campione uscente, in quattro set.
Nel prosieguo della carriera Edmondson non avrebbe più ripetuto un simile exploit, togliendosi comunque notevoli soddisfazioni, come una semifinale a Melbourne nell’81 e un’altra a Wimbledon l’anno dopo, raggiungendo nel maggio 1982 un career high di tutto rispetto: 15esimo. Ancora maggiori sarebbero state le sue gioie in doppio: ben cinque titoli Major nella prima metà degli anni Ottanta (quattro agli Australian Open e uno al Roland Garros), di cui tre con Kim Warwick e uno ciascuno con Paul McNamee e Sherwood Stewart.
Dal 1976 in poi, dunque, nessun australiano ha più sbancato Melbourne. I giocatori locali sono riusciti complessivamente a raggiungere per cinque volte la finale, senza però mai compiere l’ultimo fondamentale passo. I beniamini di casa non riuscirono a imporsi nemmeno quando lo Slam down under era in piena crisi, tra la fine dei Seventies e l’inizio degli Eighties: si fermarono all’ultimo atto John Marks, battuto in quattro set nel 1978 dall’argentino Guillermo Vilas, e Kim Warwick, superato in tre set nel 1980 dallo statunitense Brian Teacher.
In seguito il torneo si riappropriò del prestigio perduto, cambiando anche sede e superficie di gioco, dall’erba di Kooyong al cemento di Flinders Park. A cavallo di questa importante variazione, Pat Cash raggiunse per due volte consecutive il match clou, nell’87, ultima edizione sui prati, e nell’88, prima sul duro. In entrambi i casi il suo serve & volley a oltranza gli permise di eliminare in semi Ivan Lendl, ma due fuoriclasse svedesi gli impedirono il suggello, sempre al termine di cinque emozionanti set: Stefan Edberg (63 64 36 57 63) e Mats Wilander (63 67 36 61 86). A metà strada tra le due edizioni, l’avventuriero con la bandana a scacchi si aggiudicò niente meno che Wimbledon, superando ancora una volta Lendl, destinato a rimanere a secco in quel di Church Road.
Trascorsero ben diciassette stagioni prima di ritrovare un australiano in finale a Melbourne. Nel 2005 vi giunse Lleyton Hewitt, ex numero uno Atp e già vincitore agli US Open (2001) e a Wimbledon (2002). Il canguro mannaro batté, fra gli altri, Rafael Nadal e Andy Roddick ma si arrese in quattro set (16 63 64 64) a un Marat Safin in grande spolvero, che in semi aveva avuto la meglio su Roger Federer in un’epica sfida dalle mille suggestioni.
Nel frattempo, un altro australiano era stato in vetta al ranking, seppure per una sola settimana: Patrick Rafter. Il fusto di Mount Isa, due volte trionfatore agli US Open (1997-98) e altrettante finalista a Wimbledon (2000-01), non andò mai oltre le semifinali a Melbourne. Le raggiunse una sola volta, nel suo ultimo anno di attività, il 2001, quando si trovò avanti per due set a uno contro Andre Agassi prima di cedere al quinto in preda ai crampi. In precedenza, addirittura, si era fermato al massimo negli ottavi (1995).
Insomma, i tempi gloriosi di Hoad, Rosewall, Laver, Emerson, Newcombe e compagnia bella si sono fatti sempre più lontani senza che nessuno sia riuscito a ricalcarne le gesta. Ora che la carriera di Hewitt è agli sgoccioli, toccherà alle giovani leve cercare di spezzare l’imbarazzante digiuno. Senza dimenticare che il discusso Bernard Tomic ha ancora solo 22 anni, i candidati più papabili sembrano il 19enne Nick Kyrgios e il 18enne Thanasi Kokkinakis. Al momento ipotizzare una loro vittoria appare irragionevole: sulle loro spalle, però, potrebbe gravare in futuro il peso dell’aspettativa di una nazione che ama il tennis in maniera viscerale e non può non soffrire per questo lungo periodo di opacità.
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