di LUIGI ANSALONI
Un proverbio recita: “Gallina vecchia fa buon brodo”. Adesso, se tutto ciò fosse vero, e i detti antichi solitamente c’azzeccano, il brodo preparato oggi da Federer e Rossi è roba da ristorante pluristellato ai massimi livelli. Un parallelismo quasi scontato, in questa domenica piena zeppa di sport, tra due fenomeni assoluti delle loro rispettive discipline. Due monti Everest, senza ombra di dubbio. Federer ha regalato la finale di Davis alla sua Svizzera, Rossi ha donato a casa sua, a Misano, ai suoi tifosi, un’altra perla rara della sua incomparabile carriera. Si sono commossi, ci siamo commossi. I due sono amici, si sentono, si stimano: il Dottore è stato anche ospite a Wimbledon, qualche anno fa, dove col suo cappellino ha fatto compagnia ad una (divertita e anche un pò stupita) di Mirka.
Tra qualche tempo, quando Roger farà il papà a tempo pieno dei suoi quattro gemelli e Valentino il team manager alla sua creatura (in questo caso, la scuderia), penseremo probabilmente a questa domenica di metà settembre, alle emozioni che ci hanno donato. Ancora, sempre, per sempre. Forse per questo si sono commossi, ci siamo commossi: perché il tempo degli addii non è poi così lontano, anzi è sempre più vicino. Chi glielo fa fare ancora a sudare in campo, a rischiare la vita? Hanno tutto, hanno avuto tutto, potrebbero avere tutto, eppure continuano ad attaccare come dei maledetti, a crederci, comunque vada. Anche a costo di fare delle figure barbine, anche a costo di farsi etichettare come per bolliti, finiti, persino patetici. Loro, niente, vanno avanti per la loro strada, e ridono, aspettando sulla riva i cadaveri dei loro nemici. In molti hanno la fama, loro hanno la gloria. La loro immortalità sportiva e non solo, però, fa parte di un club davvero ristretto, ristrettissimo. Valentino e Roger possono guardare in faccia chiunque e non avere vergogna. Anche i più grandi. Cioè, loro stessi.
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