La parola del Direttore

Grandi Federer e Djokovic, ma a Wimbledon con Dimitrov, Raonic, Kyrgios, Bouchard, Halep è iniziata la rifondazione

TENNIS – WIMBLEDON – DAL NOSTRO INVIATO A LONDRA, DANIELE AZZOLINI – Vincono ancora i soliti, ma i Championships 2014 ci hanno detto che il mondo del tennis sta cambiando guardia. Una rivoluzione più vicina nel tennis femminile che in quello maschile, ma i nomi nuovi sono lì, pronti a dettare nuova legge.

Gli anni che annunciano il cambiamento sono fondati su note contrapposte, il crescendo esalta l’imprevedibilità prima di dar vita a un’aria orecchiabile adagiandosi sulle righe di un pentagramma più tradizionale. I Beatles le immaginarono sorgenti da un’orchestra che procedeva senza spartito. Non contenti le riprodussero al contrario. A day in the life, un giorno nella vita, era quello il brano. Un giorno, o un anno, il concetto non cambia. Ciò che sta vivendo il tennis, sotto la cappa di una vecchia guardia che vale ancora moltissimo, somiglia al fragore di strumenti in apparente disaccordo tra di loro. L’attenzione è rivolta ora al motivo che prenderà forma dal trambusto. Sarà quella la colonna sonora dei prossimi anni.

 Tutto considerato (erba, infortuni e giramento di coach), i Championships di metà stagione sono venuti a dirci che la rifondazione è in divenire, che poco a poco sta assumendo connotati e configurazioni definitive, ma anche che l’approdo finale è lontano e ancora avvolto nelle nebbie. Forse più vicina nel tennis femminile, meno in quello maschile, ma è logico così. Se tutto fosse riconducibile a una griglia in grado di assegnare alle attuali “nuove forze” in campo le percentuali relative non soltanto all’ingresso da qui a due-quattro anni nei primi dieci del tennis (per alcuni già avvenuto), ma anche alla permanenza più o meno consolidata nel Club dei Più Forti, il tennis maschile ritengo si disporrebbe così…

100%  Dimitrov, Raonic, Kyrgios

97%    Nishikori

90%    Gulbis

85%    Vesely, Cilic

80%    Thiem, Kokkinakis

70%    Lajovic, Dolgopolov

68%    Fognini

55%    Sock, Tomic

50%    Rublev, Rubin, A. Zverev, Kozlov, Quinzi.

Così invece il tennis femminile:

100%  Halep, Bouchard, Bencic

95%    Stephens, Muguruza

80%    Townsend

75%    Robson, Tomljanovic

70%    Giorgi, Vekic, Keys

65%    Svitolina, Mladenovic, A. Black, Schmiedlova, Ostapenko

Non credo di essere così lontano dal quadro definitivo che i prossimi mesi andranno formando. Da qui al 2016 (con l’uscita definitiva di Federer dopo i Giochi di Rio) vedo una Top Ten maschile composta da Nadal, Djokovic e Murray con l’aggiunta di sette dei primi nove nomi proposti nello schema. Spingersi oltre è un azzardo. Un quadro completo lo avremo solo quando si potrà monitorare sul circuito la consistenza degli attuali juniores (Rublev, Zverev, Kozlov) e di chi come Quinzi e Rubin (il vincitore della prova juniores sull’erba) è alle prese con gli impegni iniziali nel Girone dei Futures.

Come si vede, non concedo grandi spazi di manovra alle attuali seconde file, da Ferrer a Berdych, da Gasquet a Tsonga e Monfils. Ritengo che abbiano dato quello che dovevano dare, e che il loro compito (a grandi linee, e concedendo loro qualche altra vittoria) stia ormai per esaurirsi. Pongo un punto interrogativo sui nomi di Del Potro e Wawrinka, sul primo perché andrà rivisto al ritorno sul circuito, sullo svizzero perché il balzo compiuto nello stile di gioco (i colpi da fondo, al momento, sono tra i più fulminanti) e anche nella tenuta mentale, lo hanno collocato in una dimensione diversa da quella, più consolidata, degli altri. Stanislas è ancora, relativamente, una forza fresca di questo tennis, sta a lui trovare di volta in volta le motivazioni e lo stato di forma che gli consentano di appaiare i più forti o, come si è visto a Melbourne e Monte-Carlo, di collocarsi al di sopra di loro.

A occhio e croce il rinnovamento procederà in due fasi. Da qui a due anni l’assalto alle seconde linee, poi alle prime, se nel frattempo non avranno provveduto esse stesse a farsi da parte, Murray in particolare, apparso in questi mesi talmente sotto tono da riaprire buona parte di quei dubbi che i mesi trascorsi al fianco di Lendl avevano cancellato a suon di vittorie. Su tutti, quello di un carattere non proprio da combattente.

Più instabile il fronte femminile, dove l’assalto alle prime posizioni è già cominciato. Qui i dubbi investono direttamente la leadership. Gossip a parte, la Serena degli Slam 2014 è talmente lontana dalla giocatrice che ha dominato come ha voluto la classifica femminile (è ancora in testa, ed è incredibile, dopo le prestazioni da incubo che ne hanno punteggiato la stagione) da rendere evidente come i suoi problemi non siano tanto di natura tennistica, quanto personale e forse sentimentale, e per quelli la cura non è facile da individuare, né è possibile sapere quanto tempo sarà necessario per risanare l’amica ridotta a pezzettini.

Mi chiedo piuttosto quanto potranno ancora dare (e dunque resistere così in alto) la cinese Na Li, le serbe Jankovic e Ivanovic, la polacca Radwanska, la tedesca Kerber. Mi sembra meritino le stesse perplessità dei Ferrer e dei Berdych in campo maschile. Non la Kvitova, e non solo per la vittoria a Wimbledon. È dimagrita, intanto, dunque sembra aver finalmente imboccato la strada di una solida professionalità. Se non tornerà sui suoi passi, con i colpi che si ritrova (per potenza i più vicini a quelli della Williams), non si vede come possa uscire dal Club, nel quale ha resistito in tempi ben più infausti di questo.

Diverso il discorso per Maria Sharapova, una delle migliori combattenti che si siano viste in campo femminile. L’operazione alla spalla, quattro anni fa, ha cambiato i destini del suo gioco, il movimento meno rapido dei colpi l’ha tagliata fuori dai tornei sull’erba ma le ha consegnato la terra rossa. Curiosa inversione di tendenza, di cui però la biondona ha subito approfittato. Maria ha coraggio da vendere, è di fibra forte, e ha le armi per restare aggrappata al vertice, per più di qualche anno.

Infine, Vika Azarenka… Diamole tempo per recuperare, ma è ancora giovane e già esperta, libera finalmente dalla vita strampalata al fianco di Redfoe. I colpi in spinta sono di ottima sostanza, non appena si sarà rimessa in carreggiata sarà difficile non assegnarle un ruolo fra le prime dieci.

Intanto, il Club delle Prime Donne ha già accolto la Halep e Genie Bouchard. Si potrà discutere sui successivi quattro nomi della mia lista, ma credo che ognuna delle tenniste citate vanti ottimi motivi per non contraddirmi. La giovane Bencic, ancora così lontana dalle prime dieci, ha classe illimitata e colpi già robusti. Concordano con me tutti i tecnici del tennis. Stephens e Muguruza hanno la solidità che serve, anche se l’americana, più della spagnola/venezuelana, deve imparare a vincere, una lacuna non da poco e non facilmente colmabile. Come dice Panatta, «Vincere è un altro sport». Poi ins
erisco la Townsend, che ha colpi da top ten e dimensioni di gioco sconosciute alle altre. Tutti coloro che l’hanno vista all’opera, possono però immaginare come la sua candidatura sia fortemente a rischio. Se non dimagrisce, se non aumenta le doti di resistenza e corsa, il traguardo le sarà impossibile. Ma se esiste una tennista sulla quale valga la pena di lavorare, questa è lei, e sono convinto che troverà presto il coach, lo staff, e i consigli che le permetteranno di esprimere tutto il suo potenziale.

 Potrei chiudere qui l’articolo, in fondo il quadro futuribile che volevo disegnare l’ho sufficientemente abbozzato. Ritengo però utile ricapitolare, attraverso gli Slam, quali siano stati i passaggi di questa stagione che, forse, passerà alla storia come il primo anno della rifondazione.

 Le procedure del rinnovamento sono state avviate in forma congiunta, e già dallo scorso gennaio. Uomini e donne insieme, quasi il bisogno di novità fosse maturato in termini condivisi. I quarti di Melbourne accolsero due nuove candidature, ragazze mai viste così in alto, Halep e Bouchard, al fianco di una terza, Dominika Cibulkova, che aveva scalato saltuariamente la montagna dello Slam. Le semifinali ne confermarono due, in finale andò la più esperta Cibulkova. Perse dalla cinese Li, alla sua ultima prova d’autrice. Oggi anche lei si è smarrita nel grigiore, abbandonata fra le lacrime da coach Rodriguez, suo ultimo mentore. Più stabile, il tabellone maschile dette spazio alla prima apparizione di Dimitrov nei piani alti, battuto nei quarti da Nadal, ma stupì il mondo consegnandosi alla meno nobile fra le teste di serie giunte in semifinale, Stanislas Wawrinka, firmatario di una tripletta a dir poco formidabile: Djokovic, Berdych, infine Rafa, battuto in quattro set. Negli ottavi, la presenza di Fognini ci aveva fatto intendere (e sperare) che anche il nostro potesse far parte dei giochi. Purtroppo, non è stato così.

Dalla terra rossa di Parigi mi aspettavo assai meno. Davo per scontato che la consistenza stessa della superficie restituisse il banco ai conduttori del gioco, ma sbagliavo ad applicare valutazioni più intuitivamente riferite al settore maschile, anche all’altra metà del tennis. Il nuovo crollo di Serena Williams (già fuori a Melbourne negli ottavi) ha invece sortito un effetto catapulta. Tanto grande è stato il tonfo, tanto più libera di volare in alto si è sentita la nidiata delle novizie, eterogenea composizione di ventenni dalla solida dotazione muscolare, che ha scalato il torneo con la voracità di chi ha fretta d’arrivare. La Muguruza che le suona alla Williams Uno, la Schmiedlova che fa lo stesso con la Williams Due, la Tomljanovic che fa filotto di super esperte (Schiavone, Vesnina, Radwanska, quella forte…), la diciottenne extralarge Taylor Townsend che esplora gli ottavi spinta dagli applausi di un pubblico conquistato dal suo tennis fuori dagli schemi, la Bouchard che si conferma (semifinale numero due), e la Halep che con il passare dei turni diventa la vera capo cordata del gruppo delle giovani rivoluzionarie. Sino alla finale con Maria Sharapova, in piena bagarre generazionale.

Meno votato ai fuochi d’artificio, il tennis maschile da terra rossa tiene in alto un emergente (Raonic stavolta, mentre Dimitrov finisce impallinato in primo turno da un Karlovic tornato a servire il 72% di prime vincenti) e si affida a Gulbis per stupire gli appassionati. Difficile parlare di rinnovamento, con un protagonista vicino ai 26 anni, ma la novità rappresentata dal lettone rifulge maggiormente alla presenza di tre semifinalisti ripescati, per l’occasione, fra i Fab Four ormai latitanti. A Gulbis il compito di fare le veci di Federer, che del resto era stato lui a eliminare.

 A questo stato di cose, già in avanzata fase di decomposizione dell’antico e di rifondazione del nuovo, Wimbledon non ha sottratto alcunché, anzi, ha aggiunto. La cacciata di Nadal, a opera dell’australiano diciannovenne Kyrgios, è stata l’epitome della quindicina sull’erba. Diversamente da Rosol e Darcis, nei due anni precedenti, che avevano causato guasti in un motore già danneggiato di suo, l’australiano-greco-malese Nick ha messo spalle al Royal Box il numero uno puntando solo sulle sue qualità e sui suoi colpi, deflagranti addirittura nel servizio (molto ivaniseviciano) e nel rovescio, che manovra con acume e agilità di braccia, assumendo talvolta pose da ribattitore di cricket. Era un Nadal sulla strada del ritorno, combattivo e di nuovo pericoloso sull’erba, capace di superare alla meglio qualche piccola battuta a vuoto nei turni iniziali. Kyrgios gli è montato sopra con la grazia di un facocero in piena tempesta ormonale. Un gran match, checché ne dica zio Tony. E un altro giovane da promuovere sul campo, che i Championships hanno consegnato direttamente ai primi cento della classifica. Inutile ricordare che un anno fa Nick era juniores, e che in sei mesi di circuito aveva guadagnato il numero 144 della classifica vincendo tre Challenger…

 Le conferme di Raonic e Dimitrov da una parte e di Bouchard e Halep dall’altra aggiungono di colpo quattro nomi a quelli “in grado di vincere” le prove fondamentali. Non è poco. E non sempre le svolte, le rifondazioni, in passato, hanno poggiato su un parterre così ampio di novità. Sta cambiando anche la visione d’assieme degli spettatori, la percezione dei match che contribuiranno maggiormente a creare l’evento. Wimbledon è stato esplicito sotto questo profilo. L’attenzione rivolta a Raonic-Nishikori in terzo turno, per esempio, un match che solo un anno fa sarebbe stato giudicato di contorno. Il brivido che correva tra i frequentatori di Murray Mount (un tempo Henman Hill) nella giornata in cui il loro assistito avrebbe affrontato Dimitrov, quasi presagissero la poco fausta piega che avrebbe preso il match. Per non dire del match fra Raonic e Kyrgios, il giorno dopo la caduta di Nadal. C’era la sensazione di assistere all’anteprima delle prossime finali, quelle che Wimbledon proporrà negli anni a venire, magari già dal prossimo anno.

 Non vi sono molti riscontri con il passato. Solo la confusione (l’orchestra a ruota libera) che libera i nuovi talenti, e l’armonia che da essi prende forma, è comune alle precedenti rifondazioni. Poi, ognuna di esse ha assunto connotati diversi in base al materiale umano a disposizione. A fine anni Novanta, l’avvento dei “nuovi pistoleri”, come li ribattezzò l’Atp, smontò di fatto la vecchia classe dirigente (Sampras, Ivanisevic, Rafter, Courier, non Agassi però) ma non trovò all’interno del gruppo una solida leadership, offrendosi al continuo ricambio che spinse in vetta prima Safin, poi Hewitt, quindi Ferrero. Furono, quelli, anni di forti scompigli, che ebbero però il merito di preparare l’avvento di Federer e del suo alter ego Nadal. Diversa, negli anni Ottanta, fu la supremazia di Steffi Graf e poi della Seles, che nacque dal confronto con numerose aspiranti (Sanchez, Martinez, Sabatini, Sukova, Novotna) ma non smise mai di misurarsi con chi aveva governato prima di loro, la Evert nel primo periodo e la Navratilova, la cui presenza fra le prime si protrasse più a lungo.

 Le prime conseguenze del rinnovamento le vedremo nei Masters di fine anno. Gulbis, Raonic, Nishikori e Dimitrov spingono per entrare. Dovessero farcela sarebbero quattro novità sugli otto in campo. Una fondata speranza c’è anche per Fognini, ma sarà meglio riparlarne dopo il trittico di tornei che lo aspetta, Stoccarda, Amburgo e Umag, nei quali – lo sapete – ha due vittorie e una finale da ribadire. E a Singapore, nel torneo di fine anno delle ragazze, tutto fa pensare che saranno in tre a condividere “la prima volta”, Halep, Cibulkova e Bouchard. Ma i
conti si faranno ovviamente agli Us Open.

Daniele Azzolini

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