TENNIS – Da Parigi il nostro inviato Daniele Azzolini
Il figlio del magnate ha i modi che vi potete immaginare. Comanda, per lo più. E dice anche cose a vanvera, certo che la platea, nei suoi confronti, sarà sempre divisa a metà, fra quelli che lo ameranno a prescindere, e lo troveranno spiritoso, temerario, provocatorio, e quelli che lo odieranno, senza troppi se.
Giorni fa se n’è uscito con un classico del repertorio maschilista, che applicato al nostro sport ha già tappezzato di polemiche gli anni passati. «Le donne dovrebbero occuparsi dei bambini, e non del tennis». Gli ha risposto la Sharapova, a nome di tutte. «È un comico, un grande comico. Quando ho voglia di ridere, mi basta ascoltare qualcuna delle sue fesserie. Non mi delude mai».
Ernests Gulbis, il magnatino, oggi ha messo alla porta Roger Federer, e per le sempre estese truppe dei federeriani stavolta c’è ben poco da ridere. Lo ha battuto, non strapazzato, questo no, ma lo ha superato in un confronto vero, molto arcigno (i due, si dice, poco si sopportano), anche equilibrato, nel quale l’altro è giunto prima sul traguardo, senza trucchi. Insomma, è stato più forte di lui. E questo, capirete, non capita spesso di scriverlo…
Buona parte delle sconfitte di Roger, in questi ultimi mesi, hanno avuto un “se” o un “ma” con cui fare i conti, utili – nel caso – anche per trarre conclusioni meno negative sul tennis del “più forte di sempre”. Molti di quei “se” mi hanno trovato d’accordo. L’anno scorso, per esempio… “Se” Roger non avesse avuto problemi alla schiena, certe sconfitte non avrebbero preso forma, o non sarebbero apparse così devastanti. Su tutte, quelle dei mesi che vanno da Roma al dopo Wimbledon, fino ai tornei di Amburgo e Gstaad. Agli Internazionali, mi dicono, dovettero pregarlo per farlo scendere in campo il giorno della finale, e lui accettò di farsi massacrare per l’ennesima volta da Nadal. E a Gstaad era talmente “incriccato” (termine romanissimo, ma irrinunciabile) da perdere con Brands.
I “se” oggi non ci sono, Gulbis lo ha affrontato a viso aperto, sfidandolo a dare il massimo, e Federer ha risposto per quello che era in suo potere rispondere. Meno lucido che in altri momenti, Roger ha lasciato che due o tre occasioni gli scorressero sulla racchetta senza riuscire a coglierle. Era in vantaggio nel secondo set, e poteva andare 2-0. Lì sarebbe stato difficile per Gulbis tornare a fare la voce grossa. Ma sarebbe sciocco pensare che in quel frangente il lettone sia stato fortunato. Ha colto i punti che doveva con le sue forze, cercando angoli difficili, senza mai smettere di colpire a tutto braccio. Credetemi, il fatto che Federer sia riuscito a portare il match al quinto set, va a suo onore. Fra i due ci sono sette anni di differenza, e stavolta si sono sentiti. Tutti e otto.
Gioca, Gulbis, così come ti aspetti che farà un domani, quando sarà chiamato alla guida dell’azienda di famiglia. Colpisce duro, va giù dritto. Sin dal servizio, che fa correre fra i 215 e i 220 orari. Conosce l’arte del comando, il ragazzo. Il resto, comprese le battute sulle colleghe, va a corredo di un personaggio che difficilmente troverà la simpatia del pubblico. «Ho un debole per le stupidaggini», ha detto in un’intervista di ieri a L’Equipe. Non sarà quello a farlo diventare il numero uno. Ma il tennis è di primo livello, e quello che ieri appariva instabile e privo di concretezza, oggi sta assumendo forme definite. Un bel ritorno, non c’è che dire. Peccato che abbia incrociato proprio Federer.
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