TENNIS – di FABRIZIO FIDECARO
Tonino Zugarelli ha scritto un’intensa autobiografia, in cui racconta quello che definisce “il riscatto di un ultimo”. Il tennista romano fu protagonista del cammino azzurro verso il trionfo in Davis del 1976, andando a sconfiggere i britannici a casa loro, niente meno che sull’erba di Wimbledon.
Il nome di Antonio “Tonino” Zugarelli è legato in maniera indissolubile alla Coppa Davis. E, in particolare, alla Gran Bretagna. Nel 1976 il suo apporto fu indispensabile per consentire al team azzurro di raggiungere il match clou, poi vinto in Cile. La finale europea, infatti, andò in scena sul campo 1 di Wimbledon, dove i padroni di casa contavano di sfruttare la scarsa attitudine “erbivora” dei nostri. Al fianco di Adriano Panatta nei singolari, il capitano Nicola Pietrangeli preferì Zugarelli a Corrado Barazzutti (e Paolo Bertolucci), e il tennista romano ripagò la fiducia concessagli nel migliore dei modi.
Fu lui a indirizzare subito il tie dalla parte giusta, conquistando il primo, delicatissimo punto, grazie a un successo in quattro set sull’esperto Roger Taylor. Una vittoria fondamentale, perché, dopo l’affermazione al quinto di Panatta su John Lloyd, Adriano e Paolo persero il doppio, rimandando il verdetto alla terza giornata. Qui il fresco campione di Roma e Parigi poté giocare con l’Italia ancora in vantaggio ed ebbe la meglio faticosamente su Taylor. A seguire, Tonino firmò il 4-1 rimontando due set a Lloyd e chiudendo con un sontuoso triplice 61.
Tre anni dopo l’Italia ottenne un’altra finale, superando la Gran Bretagna sul rosso del Foro Italico. Guarda caso, Zuga fu di nuovo determinante, portando insieme a Barazzutti il punto del doppio (unica sua presenza in Davis nella specialità), giocato sull’uno pari contro Mark Cox e David Lloyd, dopo che Adriano si era fatto sorprendere in avvio da Buster Mottram.
Queste e tante altre imprese di una vita sono raccontate nell’intensa autobiografia che Zugarelli ha scritto insieme con Lia del Fabro, dall’eloquente titolo “Zuga, il riscatto di un ultimo” (Edizioni Ultra), in uscita il 9 aprile. Un libro sentito, profondo, le cui pagine, a tratti, sembrano uscite dalla penna fantasiosa di uno sceneggiatore di Hollywood, o di Cinecittà per restare dalle parti di Tonino. E invece è tutto vero: la nascita in una famiglia non certo benestante, la crescita in una casa piccola ma dignitosa tirata su dal padre in una sorta di villaggetto vicino al Tevere, la battaglia quotidiana per la sopravvivenza, evitando di cadere nelle tentazioni costate care ad altri coetanei, alcuni dei quali finiti nel carcere di Regina Coeli.
Poi lo sport come ancora di salvezza, con l’aiuto di un fisico atletico e di una volontà di ferro. Prima il calcio, con quel provino per la Roma durato giusto lo spazio di una bella azione sulla fascia: la squadra giallorossa decise di prenderlo ma di girarlo inizialmente all’Almas per maturare e lui, ingenuo e mal consigliato, interpretò il prestito come un rifiuto e lasciò perdere il pallone. Approdò così al tennis, che aveva frequentato come raccattapalle per mettere da parte qualche mancetta. Il suo primo torneo lo giocò al vecchio, storico, Circolo Parioli e, dopo aver sofferto al debutto per l’inesperienza, finì per vincere alla grande, sbaragliando tutti gli altri avversari.
Ebbe inizio da lì una scalata vertiginosa, che lo portò, appunto, a essere tra gli artefici del trionfo azzurro in Davis e, l’anno dopo, a sfiorare il titolo agli Internazionali d’Italia. Fu sconfitto in finale, in quattro set combattutissimi, da Vitas Gerulaitis, contro il quale, nonostante uno stiramento alla spalla, ebbe anche una palla per andare al quinto: una volée potenzialmente vincente, però, gli si fermò sul nastro. In quel 1977 il Burt Reynolds della racchetta (in America lo paragonavano all’attore hollywoodiano, cui in effetti somigliava parecchio) si arrampicò fino al 27esimo posto del ranking mondiale. Continuò a togliersi soddisfazioni ancora per qualche anno, anche se i guadagni all’epoca erano ben lontani da quelli di oggi e, alla fine della carriera, gli permisero giusto di comprarsi – con il mutuo – un appartamento.
E ora questo bel libro, in cui Zugarelli racconta la sua storia: una storia, che, sono sue parole, «potrebbe essere utile ai ragazzi. In fondo, dico che si vive per crescere, ponendosi obiettivi, rispettando se stessi e gli altri. E chiedendo in cambio di essere rispettati».
Tonino continua a seguire il tennis internazionale da osservatore esterno e assai competente. Alla vigilia della nuova sfida di Davis contro i britannici, riscontra qualche analogia fra la squadra azzurra di oggi e quella che lo vide protagonista negli anni Settanta: «C’è un numero uno che sta crescendo, Fognini, e un secondo singolarista affidabile, Seppi. Anche il doppio è più che discreto. Credo che contro Murray, in casa sulla terra, siano favoriti. La squadra di Davis è una costruzione a suo modo virtuosa, deve avere i ruoli coperti dalle persone giuste. Dopo tanti anni, mi sembra che ora l’Italia viva questa condizione».
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