di FABRIZIO FIDECARO –
Roger Federer e la Coppa Davis: un rapporto a corrente alternata, che potrebbe vivere la sua apoteosi nel 2014. Roger ha già dato la sua disponibilità per il quarto con il Kazakhstan e, assieme a Wawrinka, sta mettendo finalmente l’insalatiera nel mirino.
La carriera di Roger Federer in Coppa Davis è strettamente legata all’Italia. Fu contro gli azzurri, guidati da Paolo Bertolucci, che il futuro numero uno esordì nella massima manifestazione a squadre. Era il primo weekend di aprile del 1999, e i nostri venivano dalla dolorosa (in tutti i sensi, purtroppo Gaudenzi lo ricorda bene…) finale persa a Milano con la Svezia. Sul sintetico indoor di Neuchatel, il capitano svizzero Claudio Mezzadri pensò di giocarsi la carta Federer, all’epoca appena 17enne, schierandolo in singolare al fianco di Marc Rosset. Quest’ultimo, che nel 1992 con Jakob Hlasek aveva portato la sua nazionale all’unica finale nella storia, incanalò subito il tie dal lato dei padroni di casa, superando Gianluca Pozzi in tre set equilibrati.
Poi toccò a Roger, n. 123 Atp (ma fuori dai trecento appena tre mesi prima), opposto a Davide Sanguinetti. Ebbene, per lo spezzino, n. 48, non vi fu nulla da fare: il giovanissimo campioncino lo regolò in quattro set, lanciando il suo team sul due a zero. La sfida fu chiusa il giorno dopo da Manta/Rosset, che superarono Pescosolido/Tieleman. A risultato acquisito, Federer tornò in campo, cedendo a Pozzi in una partita ininfluente, ma comunque utile per accumulare esperienza.
Da allora, e fino al 2004, sua prima stagione in vetta al ranking, Roger riservò quasi sempre un posto speciale all’insalatiera nella sua programmazione, dedicandosi con costanza anche al doppio. Nel 2003 il team elvetico, con George Bastl o Michel Kratochvil nel ruolo di secondo singolarista, si spinse fino alle semifinali, eliminando in trasferta Olanda e Francia, prima di arrendersi per 3-2 all’Australia di Lleyton Hewitt (che rimontò due set a Federer) in quel di Melbourne Park.
Dal 2005 in poi, a causa degli impegni via via più gravosi derivanti dal suo status di numero uno (o due), Roger diede sempre meno peso alla Davis. Addirittura, fino a tutto il 2011, non prese più parte ad alcun incontro valevole per il tabellone principale del World Group, dando la propria disponibilità solo per i play-off di settembre (eccetto che in Kazakhstan nel 2010, e infatti la Svizzera andò incontro a una prevedibile retrocessione, cui pose rimedio già dodici mesi più tardi in Australia). Lo ammirammo dalle nostre parti nel 2009, allorché, sulla terra di Genova, liquidò Simone Bolelli e Potito Starace, negando agli azzurri il ritorno nella massima serie.
Nel 2012, dopo otto anni di assenza, Roger tornò a disputare un primo turno di World Group, ma il suo rientro non fu fortunato: sul rosso indoor di Friburgo, infatti, perse in singolare con John Isner e in doppio, assieme a Stanislas Wawrinka, con Mike Bryan e Mardy Fish. La Svizzera incassò un clamoroso 0-5 interno, salvandosi poi nello spareggio con l’Olanda.
Quest’ultima sfida, in cui batté agevolmente sia de Bakker sia Haase, era rimasta l’ultima di Federer in Davis fino allo scorso fine settimana. Roger, infatti, si è aggregato in extremis alla sua squadra, impegnata a Novi Sad contro una Serbia ampiamente rimaneggiata, e, superando in apertura Ilija Bozoljac, ha indirizzato subito il confronto nel verso giusto. La Svizzera ha passato il turno e, ad aprile, se la vedrà con il Kazakhstan, stavolta in casa, per un posto in semifinale. Il diciassette volte campione Slam ha già dato la sua disponibilità, e sembra proprio che, per la prima volta in dieci anni, abbia deciso di restituire un posto di rilievo alla Davis nella “schedule”.
Non è un caso, e in effetti si potrebbe dire a giusta ragione: adesso o mai più. L’insalatiera è uno dei pochissimi trofei importanti che ancora non affollano la straripante bacheca di Fed-Ex, e, con al fianco un Wawrinka cresciuto in modo esponenziale, capace di vincere gli Australian Open e issarsi fino al terzo posto mondiale, la conquista appare tutt’altro che impossibile.
Sebbene giustamente non lo ammetta in pubblico, Roger è consapevole che per lui, a trentadue anni suonati, sarà sempre più difficile migliorare il record di titoli nei Major. La Davis, allora, potrebbe essere un traguardo alla sua portata, in grado di fornirgli nuove motivazioni. Regalare alla Svizzera la prima Coppa sarebbe un ulteriore consolidamento della sua leggenda. Inoltre, il glorioso cammino verso la meta potrebbe infondergli entusiasmo e fiducia anche per difendere al meglio le sue chance nei principali appuntamenti individuali (dove, comunque, non va mai dato per spacciato). Obiettivo Davis, quindi? Be’, di certo vale la pena provarci.
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