Di Lorenzo Di Caprio
La Tennis Napoli Cup, dopo 16 edizioni caratterizzate dalla presenza di giocatori del calibro di Marat Safin, Andy Murray, Richard Gasquet, David Ferrer e molti altri professionisti di grande livello come anche il nostro Potito Starace, chiude i battenti. Nell’elenco dei tornei Challenger in programma, pubblicato dall’ATP sul sito ufficiale e aggiornato fino al 26 maggio, non compare infatti la competizione partenopea che – salvo un’interruzione nel biennio 2000/2001 – ha accolto per quasi due decenni il proprio pubblico nel periodo di Pasqua.
La motivazione appare tanto ripetitiva quanto scontata ma – purtroppo per gli appassionati del Belpaese – “abbraccia” più tornei di quanto si possa immaginare: la crisi economica ha fatto sì che gli stessi sponsor in grado di garantire – non molti anni fa – una buona riuscita delle competizioni perdessero interesse nel fattore pubblicitario, dando agli enti pubblici un onere – quello di portare avanti un qualsiasi torneo – dal peso (quasi) insostenibile. Non è bastata, nel caso di Napoli, l’attiva partecipazione del popolo campano che negli anni aveva sempre dato soddisfazione (la scelta della città partenopea per il match di Davis contro la Gran Bretagna ne è la prova).
Napoli si aggiunge a Barletta (cancellato dal calendario per il secondo anno) e – soprattutto – al Challenger di Roma RAI, a cui è spettata la stessa sorte del Napoli Cup, lasciando agli appassionati il rammarico per la scomparsa di un importante appuntamento tennistico ed un interrogativo non indifferente: cosa significa perdere tornei di questa caratura?
La palestra dei Challenger rappresenta uno step fondamentale dal quale tutti hanno l’obbligo di passare, dove l’agonismo va a braccetto con le spese economiche che un giocatore tra gli 80 e i 200 del mondo deve sostenere e solo una trafila di ottimi risultati premia con l’accesso ai tornei ATP: nel caso specifico dell’Italia, poi, sono sempre meno i tornei che possono portare agli atleti nostrani punti pesantissimi nella rincorsa al tennis che conta e – a pagarne le conseguenze – è tutto il movimento.
In definitiva, in una contro-producente situazione di stallo nel processo di “democratizzazione” del prize money nei tornei, il circuito Challenger continua ad “affannare” in un calendario sempre più improbo per le tasche dei tennisti e – perché no – per il piacere degli appassionati.
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