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Challenge Round. Federer n. 1: tutto partì da Melbourne…

di FABRIZIO FIDECARO –

Dopo le emozioni della serata benefica di Melbourne – su tutte lo storico palleggio tra Roger Federer e Rod Laver – riviviamo il primo centro del fuoriclasse di Basilea agli Australian Open, grazie al quale Fed-Ex divenne anche numero uno del mondo. Accadde nel 2004, giusto dieci anni or sono…

Giusto dieci anni fa, alla vigilia degli Australian Open 2004, Roger Federer era già considerato da quasi tutti gli addetti ai lavori una sorta di numero uno in pectore. Sì, il ranking mondiale lo posizionava ancora al secondo posto alle spalle di Andy Roddick, ma il suo trionfo, senza se e senza ma, nell’ultimo grande evento del 2003, la Masters Cup in scena a Houston, aveva lasciato ben pochi dubbi su quanto ci apprestavamo a vedere.

Bisognava, però, tornare a brillare nei Major. Il giovane fuoriclasse elvetico si era sbloccato in modo sensazionale a Wimbledon, ma agli US Open era stato sorpreso negli ottavi da David Nalbandian, che gli aveva inflitto la quinta sconfitta in altrettanti confronti diretti. Roger aveva poi battuto per la prima volta l’argentino nel round robin di Houston, e in modo sonante (63 60), ma, certo, farlo in uno Slam avrebbe avuto un altro sapore.

L’occasione si sarebbe presentata presto. A Melbourne, suo primo impegno dell’anno, Federer iniziò il suo cammino verso la gloria con tre agili successi, sugli statunitensi Alex Bogomolov Jr. e Jeff Morrison e sull’australiano Todd Reid.

Di ben altra caratura l’avversario che lo attendeva al quarto round: l’ex numero uno Lleyton Hewitt. Anche in questo caso il bilancio dei precedenti head to head era tutt’altro che brillante: il canguro mannaro si era imposto la bellezza di sette volte su nove match, l’ultima, in cinque set, proprio alla Rod Laver Arena nella semifinale di Coppa Davis del settembre 2003. Hewitt partì bene, facendo suo il primo set, ma il momento che spostò l’inerzia della sfida giunse sul 3 pari del secondo. Al beniamino di casa fu chiamato un fallo di piede sull’ace che gli avrebbe consegnato quel game: Lleyton si innervosì, cedette il turno di servizio, e da lì in poi Federer gli prese le misure con autorità, finendo per prevalere con merito (46 63 60 64 lo score). Fu la prima di quindici affermazioni di file sull’australiano, che a lungo non lo avrebbe più impensierito.

Nei quarti ecco l’occasione di prendersi una sonante rivincita con Nalbandian. Come previsto fu battaglia vera, e Roger la combatté da par suo, con piglio da vero fighter. Al termine fu lui ad alzare le braccia al cielo (75 64 57 63), cancellando, almeno per il momento, il tennista di Cordoba dalla lista delle sue bestie nere. La semifinale con Juan Carlos Ferrero – sulla carta ostica – si rivelò poco più di una formalità: lo spagnolo, che era stato brevemente numero uno Atp appena qualche mese prima, fu travolto con un inappellabile 64 61 64.

Intanto, nell’altra metà del tabellone, si fece largo un giocatore del quale si erano perse le tracce, fra infortuni e una scarsa propensione ai sacrifici della vita da atleta: Marat Safin. Proprio nel giorno del suo 24esimo compleanno, il russo, precipitato all’86esimo posto Atp, eliminò niente meno che il numero uno Roddick. Marat si impose per 64 al quinto, e l’inattesa battuta d’arresto costò ufficialmente a A-Rod la prima posizione del ranking.

Safin si ripeté in semi, uscendo indenne da una nuova maratona di cinque set con Andre Agassi, ma si affacciò al match clou onestamente con scarsa benzina in corpo. Lottò per un set, il primo, perso al tie-break, poi Federer prese decisamente il largo, chiudendo sul 76 64 62.

Era il suo secondo titolo dello Slam, quello che ne sanciva il definitivo salto di qualità. Già per talento e facilità di gioco Fed-Ex era varie spanne sopra a tutti, ora aveva compiuto decisi progressi anche sul piano della continuità. In quel 2004 sarebbero arrivati complessivamente undici centri, fra cui altri due Slam (Wimbledon e gli US Open) e un nuovo Masters, con un bilancio complessivo di 74 match vinti su 80 disputati.

Lunedì 2 febbraio, il giorno dopo la finale con Safin (che si sarebbe rifatto clamorosamente dodici mesi più tardi), anche il computer dell’Associazione Giocatori lo decretò in modo ufficiale: Roger era il nuovo re del tennis. Sarebbe rimasto in cima per 237 settimane consecutive (un record), tornandovi per altri due stint, uno più lungo tra 2009 e 2010 (da 48) e un altro nella seconda parte del 2012 (da 17), con i quali avrebbe portato il totale delle sue settimane in vetta a 302 (altro primato). Numeri da capogiro per una leggenda che, dieci anni fa, era solo agli inizi…

 

Fabrizio Fidecaro

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