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Australian Open: l'importanza di chiamarsi Pennetta

Australian Open

dall’inviato a Melbourne LUIGI ANSALONI

SENTI L’AUDIO DI FLAVIA PENNETTA E LE PAROLE IN CONFERENZA STAMPA

L’importanza di chiamarsi Flavia Pennetta, una tennista che a 32 anni non è forse mai stata così bella, serena, forte e concentrata. Non sarà esplosiva come l’anno di grazia 2009, quando entrò tra le prime 10 del mondo, ma vederla in campo oggi è uno spettacolo. Perchè Flavia, tra giovani e giovanissime che spuntano e che lottano, sgomitano e fanno la fila per diventare grandi, è una che dà la paga a moltissime che si ritengono o vengono ritenute fenomeni rampanti.

Una è stata oggi Monica Puig, una che ha già fatto parlare di sè a Wimbledon, quando battè 6-3 6-2 la Errani in una partita proprio senza storie. La Pennettaha portato a casa la partita in un’ora e venti minuti, un 6-3 6-4 senza troppo soffrire, con un caldo come al solito insopportabile ma che la tennista brindisina ha sembrato quasi non soffrire. Vedendo la Pennetta ti vengono in mente le sue parole in una conferenza stampa a Wimbledon, quando alla presenza di noi giornalisti italiani aveva dichiarato con dolcezza ma con una punta di pessimismo che a fine anno, a fine 2013, avrebbe tirato un pò le somme. Sembrava pronta al grande passo, al grande addio, Flavia. “Non mi interessa essere numero 150 al mondo”, aveva dichiarato con un sorriso. Fece un gran Wimbledon, e poi fece un miracolo agli Us Open, con una sensazionale semifinale. Ha superato i malanni fisici e ora sta bene, e si vede. Sembra una giocatrice nuova, sembra essere tornata lei. Gli australiani e l’Australia l’hanno sempre adorata: sulla Margaret Court Arena non c’era poi chissà quanta gente ma tutti, proprio tutti, facevano il tifo per lei.

La Pennetta ha “intortato” la Puig con il suo gioco: a volte lasciava sfogare la giovane e focosa rivale, per poi colpire nei momenti decisivi, quando più faceva male. I due set infatti, e non è un caso, sono stati davvero molto simili tra di loro, anche nelle statistiche. Una più di tutte, che si potrebbe tradurre in una sola parola: esperienza. Flavia ha fatto 14 errori non forzati, la Puig 38. Nomale: la portoricana voleva sfondare un muro, e non c’è riuscita, nonostante le badilate. Una calma olimpica l’ha colpita e l’ha affondata. Provaci ancora, Monica. Il futuro forse sarà anche suo, il presente ancora no. Troppo presto. Per quello c’è Flavia.

Luigi Ansaloni

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