Al netto della tristezza e della nostalgia, sentimenti che una separazione (di qualsiasi tipo essa sia) si porta dietro, il divorzio agonistico tra Roger Federer e Paul Annacone era una cosa essenzialmente necessaria. Forse non giusta, a questo punto della carriera dell’ex numero uno del mondo, ma lo svizzero doveva per forza di cose fare una scelta.
La nostra Rossana Capobianco ci aveva visto lungo, lunghissimo. In tempi non sospetti, il 4 settembre, scrisse un pezzo dal titolo “Federer e lo stagno delle abitudini”, dove si analizzavano i motivi non solo di un 2013 disastroso ma anche di un qualcosa che potesse scuotere Federer. E una di queste, forse quella principale, era appunto la possibilità di cambiare il coach. Cose che , un mese dopo, è avvenuta. Ci aveva visto bene, Rossana. E chi conosce Roger, se non personalmente quantomeno la sua storia, sa che quello che è avvenuto era quantomeno inevitabile. Inevitabile nel momento in cui Federer , nel 2014, voglia veramente tornare ad essere competitivo. Ai massimi, massimi livelli. Per quanto improbabile sia, la scelta di provare qualcosa di nuovo, di cambiare allenatore per trovare nuovi metodi, nuovi stimoli, è con ogni probabilità l’unica cosa che poteva fare l’elvetico in questo momento in cui la discesa sempre implacabile, veloce, impietosa. Aveva bisogno di un paracadute, Federer. Aveva, ha bisogno di credere che qualcosa possa cambiare. Aveva, ha bisogno di un nuovo compagno in questo ultima salita prima di salutare.
Insomma, per farla breve: questo cambio vuol dire che Federer ha ancora voglia di lottare. Di giocare. Di vincere. Salutando Annacone, ha salutato almeno per un annetto buono qualsiasi ipotesi di ritiro. Una buona notizia per tutto il mondo del tennis, senza dubbio. L’addio al coach americano (a parte le frasi formali del tipo “avevamo un accordo e un programma di tre anni” ecc ecc) era un qualcosa di necessario, di pensato, di meditato, dopo questo orribile 2013. Se Federer aveva davvero intenzione non di provarci più, di non provare più, di ritirarsi o semplicemente di lasciarsi andare all’inevitabile declino (32 anni, 33 nel 2014), poteva semplicemente non fare niente, fare un ultimo giro di saluti e ti saluto e grazie. Questa separazione, più che quello con Tony Roche (avvenuta per un brutto litigio e anche per motivi personali), ricorda quella con Peter Lundgren. Federer semplicemente aveva, ha bisogno di un qualcosa che gli dia la scossa, ora come allora.
La mente di un campione, di un fuoriclasse, di un genio (Roger lo è della racchetta, ovviamente ognuno ha il suo campo) è quanto di più delicata, fragile, contorta e affascinante possa esistere. Il genio, il fenomeno, è quello che paradossalmente ha più bisogno di certezze. Basta una piccola deviazione, un qualcosa di storto, una piccola crepa nell’armatura, che rischia tutto di andare in malora. In questo 2013 per Federer lo è stato, ad esempio, il mal di schiena, che gli ha fatto perdere tanta, troppa sicurezza. Ma è chiaro, a questo punto, che non è stato solo quello il problema. In quei momenti, il genio ha bisogno di qualcuno che lo incoraggi, che lo sproni più degli altri. E se la parola, la voce diventa troppo familiare e non più convincente, allora c’è bisogno del cambiamento.
Adesso c’è da decidere la successione, nemmeno fosse un Pontefice. Molti dicono che il nome sia già stato scelto, ma a noi umani non è dato sapere. Dunque, proviamo. Un toto allenatore, insomma. I nomi più robusti sono forse due: Stefanki e Cahill. Coach di esperienza, di polso, di carattere. In questo momento, potrebbero essere quello che ci vuole. Ci sarebbe anche Brad Gilbert, ma lui e Federer non si amano granchè. Queste sono le ipotesi diciamo più plausibili, più reali. Più ragionate, forse. Poi ci sono le suggestioni. C’è quella, bellissima, di Stefan Edberg, giocatore e persona che Federer adora: farebbe felici in molti, è forse la possibilità più romantica tra le tanti. Ma ahimè, quella meno probabile. Qualcuno ha fatto la voce di Magnus Norman, un altro svedese che sta facendo le fortune dell’altro svizzero, quel Wawrinka che sta soffiando il posto di numero uno elvetico a Federer. Ma, appunto, Norman è occupato. Anche se difficilmente rinuncerebbe ad una opportunità così ghiotta.
E poi, infine, c’è Jim Courier, il capitano di Davis degli Usa e brillantissimo commentatore televisivo. Amico, molto amico, di Federer. Talmente amico che nei mesi scorsi, parlando a Tennis Channel con Mary Carillo e Jon Wertheim, Big Jim disse, a proposito della (presunta) disperazione di Roger dopo il match con Robredo, disse anche abbastanza piccato: “State facendo troppe ipotesi e troppe conclusioni. Roger è sicuramente confuso ma sa già benissimo quello che deve fare”, aggiungendo un “Voi che ne sapete?” al quale seguì un inevitabile “Perché, tu che sai?”. La risposta fu di quelle di uno che (appunto) la sa molto, molto lunga: “Tranquilli che so”. Non passerà molto per vedere fino a che punto il caro Courier sapeva…
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