Lo sport è spesso riuscito a riavvicinare mondi improbabili, ma ultimamente pare che le sue barriere non siano più così elastiche e a ricordarcelo c’è stato l’episodio che ha visto protagonista la scorsa settimana a Tashkent il giocatore tunisino Malek Jaziri, a cui sarebbe stato vietato di scendere in campo dalla sua Federazione contro Amir Weintraub, giocatore israeliano numero 196 del ranking Atp.
Un’imposizione giunta dall’alto visto che si dice sia stato il ministero della gioventù tunisino a fare pressioni sulla federazione: una storia che fa il paio con quella che lo scorso luglio aveva visto protagonista la 18enne tunisina Ons Jabeur, ritiratasi sul punteggio di 6-3, 4-1 per evitare d’incontrare una giocatrice israeliana in semifinale.
Entrambi i casi sono stati coperti da ‘certificato medico’, ma la realtà appare ben diversa, anche perché a parlare contro ci sono dichiarazioni ed E-mail: l’Equipe ha infatti pubblicato il loro contenuto sull’edizione cartacea ed oltre a ciò quelle parole sono state confermate in un’intervista, ad una radio tunisina, dal fratello dell’atleta.
La primavera araba assomiglia sempre più ad un autunno desolato, specie quando poi ad analizzare la situazione sono gli sportivi nati in quelle regioni come nel caso di Selima Sfar, prima giocatrice araba ad entrare nella top 100 Wta.
Ovviamente quello della Sfar, oggi commentatrice per Al Jazeera, non è un attacco, ma piuttosto un invito determinato al dialogo, che ha lanciato sulle colonne del quotidiano sportivo francese. “Per me Malek è come un fratello – ha affermato l’ex tennista – è vero che ci siamo sentiti più volte prima del match e mi aveva confermato di avere un po’ male al ginocchio. Non voglio contraddirlo, ma al di là di questo c’è il peso delle mail con cui gli hanno interdetto di giocare contro un tennista israeliano ed è grave. E se inizia ad incontrare giocatori israeliani tutte le settimane che fa? Abbandona? Non credo. Il tennis è la sua vita, il suo lavoro”.
C’è una paura palpabile, ma come sempre è su questa che si cerca di fare leva e secondo la Sfar Emir, il fratello di Malek, ha fatto la cosa migliore rendendo pubblica la situazione, dando in qualche modo la possibilità di discutere della cosa, per far comprendere che non è questa la soluzione migliore da adottare e bisogna che tutti se ne rendano conto.
In effetti di precedenti positivi ce ne sono stati e a raccontarlo è stata la stessa tennista : “Nel 1999 giocai la Fed Cup a Tel Aviv contro Israele e non incontrammo alcuna difficoltà. Nella mia carriera sono scesa in campo almeno una cinquantina di volta contro tenniste israeliane e nessuno mi ha mai detto niente. Oggi invece di andare avanti torniamo indietro. Mi domando a cosa servano tutte queste complicazioni se non ad aumentare la pressione sui giocatori”.
Di certo l’immagine della Tunisia non esce vincente da questa storia, ma un episodio negativo può dare la forza di reagire e mettere in moto un processo positivo, come spera la stessa Selima: “Se ognuno fa la sua parte potremmo fare grandi cose insieme. E’ un bene che questa storia sia uscita allo scoperto e abbia avuto risonanza: io sono fiera di essere tunisina, araba e musulmana, ma ho vergogna dell’attitudine del mio paese quando succedono queste cose. Io mi metto a disposizione, magari sono solo una goccia d’acqua nel mare, ma sono stata la prima donna araba ad entrare nella top 100 del tennis femminile e voglio dare ad altre sportive come me la stessa opportunità. Se posso fare qualcosa sono a disposizione”.
Gli scacchi sono sulla tavola e il gioco diplomatico al via. La tensione è sicuramente alta, ma non è il silenzio a risolvere le situazioni, ma un approccio graduale, con la speranza che lo sport ancora una volta possa essere il viatico per disgeli ancora più importanti sul piano sociale.
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