NEW YORK. Allo scoccare della mezzanotte è finita la carriera di James Blake. Come un momento simbolico, di passaggio. Termina un’avventura e ne inizia un’altra, termina un periodo importate della propria vita e si fa spazio ad altro. Lo sapeva che difficilmente avrebbe potuto superare Karlovic nel tie-break del quinto set, era stanco e portava con sé le fatiche degli ultimi anni avari e crudeli, privi di gioie importanti a livello sportivo. Chissà, forse sognava di riabbracciare il prima possibile la propria figlia e calarsi in pieno nei panni del papà, o forse capiva come si sono sentiti prima di lui Roddick (che in quel momento stava facendo un tifo sfegatato per lui) o addirittura Agassi.
E proprio come Andre è stato sbattuto fuori dal tennis con un ace. In quegli istanti che precedevano l’ultimo punto lo sguardo di Blake aveva molto in comune con quello di Agassi, lo sguardo di chi si trovava impotente di fronte al destino. In quella circostanza fu Benjamin Becker, oggi Ivo Karlovic. Oggi forse ancora più difficile da accettare, perché Blake era riuscito caparbiamente a portarsi avanti due set a zero.
Sembrava tutto quasi troppo semplice: tre break al gigante croato dal servizio quasi inespugnabile ed un passo soltanto dal prolungare questo suo tour finale nello Slam di casa. Poi però il disco si è inceppato e Karlovic, sul finire del terzo, ha tolto il servizio e si è portato a casa il parziale riaprendo totalmente i giochi. Il quarto ed il quinto set sono stati lottatissimi, entrambi condotti fino al tie-break ed entrambi ad appannaggio del croato. Lui che ad Aprile è stato sul punto del baratro, ricoverato d’urgenza all’ospedale di Miami. Sembrava non dovesse più rientrare sui campi da gioco, invece è rientrato e si è anche preso il lusso di tornare a vincere un titolo ATP dopo cinque anni di digiuno, alla faccia di chi lo riteneva da anni uno da buttare. Così, colui che ha avuto una seconda opportunità non si è fatto intenerire dalla situazione, affondando chi invece nel suo piccolo forse lo sperava: chiudere la carriera levandosi un’ultima piccola soddisfazione, magari sul campo centrale, magari con gli spalti gremiti.
Il Grandstand a mezzanotte era pieno forse per metà. Ci hanno provato in ogni modo a caricarlo. Urlavano il suo nome, volevano passargli tutta la loro energia. Poi, sul 6-2 nel tie-break decisivo, hanno capito che il loro beniamino non avrebbe recuperato da quella situazione ed hanno iniziato una lunga standing-ovation che, seppure James abbia provato a nascondere, dentro di sé lo avrà toccato. In quei 5-10 secondi avrà ripensato a tutta la sua carriera, a quello spaventoso incidente di Roma, all’anno in cui fece finale al Master di Shangai e riuscì a raggiungere i piedi del podio della classifica mondiale, agli ultimi mesi difficili. Poi più nulla. Basta. Un ace. Il tempo di pensarci e già stai stringendo la mano. E’ finita, col sorriso.
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