NEW YORK – Che succede a Sara Errani? Dov’è finita la lottatrice che eravamo abituati a vedere in campo? Che fine ha fatto la tennista mai doma, che continuava a combattere fino alla stretta di mano con l’avversaria? Da qualche mese quello spirito battagliero sembra svanito. Le sconfitte, fino al Roland Garros patite per mano delle top player, negli ultimi tempi sono più frequenti; in campo non mette più la stessa cattiveria agonistica.
Dell’ultimo ko infatti, quello di ieri nel derby contro Flavia Pennetta – che comunque ha giocato un gran match e al meglio sul cemento è favorita – non ha stupito il punteggio, bensì la sensazione che ha dato la romagnola negli ultimi due giochi: la resa.
Troppa pressione. A gennaio la massese si appresta ad affrontare una nuova situazione, una nuova sfida: arriva dalla stagione dell’exploit e davanti ha la prospettiva di confermare una mare di risultati e punti. La romagnola scivola già al primo gradino, in quell’Australian Open dove aveva raggiunto i quarti l’hanno prima: perde al primo turno contro Carla Suarez Navarro. “Ma era la peggior avversaria tra le non teste di serie, e poi era in formissima” si è commentato. Sembra un episodio isolato, perché poi l’azzurra conferma Acapulco e fa quarti sia a Indian Wells che Miami, facendo faticare non poco Maria Sharapova in entrambe le occasioni. Sulla terra la stagione è ottima, migliore anche del 2012: sempre in semifinale in tutti i tornei giocati, compreso il Roland Garros. Ma la terra è il suo habitat naturale. E subito dopo aver conquistato il penultimo atto a Parigi, la Errani già ricorda di quanta pressione ci fosse su di lei per il risultato dell’anno prima. “E’ una situazione nuova per me, dovevo difendere tanti punti”. In semi viene spazzata via da Serena Williams: poco male, è il destino di tutte quelle incontrate sul rosso dall’americana quest’anno.
Sembra andare tutto bene, e invece proprio dopo gli Open di Francia, forse per l’enorme sforzo compiuto per confermare i risultati, cominciano i problemi. In finale a Palermo perde per la prima volta da anni contro l’amica Roberta Vinci. Si trasferisce sul cemento americano e dalla prima si vede una Errani impacciata, un po’ insicura al momento della stretta finale, poco ‘cattiva’. E’ a disagio su una superficie dove il gioco non le viene naturale. Fatica per battere la Zakopalova prima, e la Cornet poi. Ai quarti con Angeszka Radwanska perde in due set sprecando diverse occasioni: proprio lei che era un cecchino. Ma le delusioni più grande arrivano a Cincinnati e New York, con le due nette sconfitte nei derby contro Vinci e Flavia Pennetta.
In conferenza stampa Sara ‘vuota il sacco’. Si presenta con occhi lucidi e non riesce a nascondere la sua delusione, parla con la voce rotta e ammette: “sento troppa pressione, di quello che ci si aspetta da me. Non sono delusa per la sconfitta, ma perché non sono riuscita a trovare un modo di stare in campo lottare. Da un paio di settimane non sono tranquilla, non dormo, non riesco a caricarmi o a scuotermi”.
La sensazione, per chi la segue e la conosce da anni, è che la Errani non sia nata per essere una top player, una dominatrice, una a suo agio nella posizione di favorita, e di conseguenza faccia fatica a gestire la pressione. Finché è stata l’underdog, quella che non aveva niente da perdere, è riuscita giocare a mente sgombra, senza preoccupazioni, e quindi le veniva più facile esibire il suo tennis, fatto di lotta colpo su colpo. Ma quando si è trovata dalla parte di quella da battere, la musica è cambiata. Soprattutto perché, sotto sotto, Sarita è la prima ad essere consapevole dei suoi limiti: sa di essere andata ben oltre le sue capacità. Probabilmente ha giocato due anni sovra ritmo e ora si sente un po’ svuotata. D’altronde ha un tennis davvero dispendioso sia a livello fisico che mentale: non ha un solo colpo vincente, deve fare chilometri su chilometri per vincere un 15 e deve mantenere la concentrazione alta ad ogni punto. La testa, dopo due stagioni giocate a mille, è forse un po’ logora. Urge un periodo di riposo: un mese, forse due, per ritrovare quella carica e quelle motivazioni smarrite. Sono un po’ come il carburante per l’auto, senza non si va da nessuna parte.
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