Tommy Haas batte il numero uno del mondo e campione uscente Novak Djokovic. E poi anche un cliente scomodo come il francese Gilles Simon, volando così alle semifinali del Masters 1000 di Miami. Lo fa a trentacinque anni compiuti lo scorso 3 aprile, mentre i suoi coetanei sono ormai agli sgoccioli della carriera, stanno avviandosi alla professione di coach o già frequentano con alterne fortune il Champions Tour. Tutto questo nonostante una serie di infortuni che avrebbe scoraggiato chiunque, o quasi: l’ultimo, cui è seguito un delicato intervento chirurgico all’anca, lo ha tenuto lontano dai campi dal febbraio 2010 (sconfitta al primo turno con Gabashvili a Delray Beach) al maggio 2011 (rientro al Roland Garros, con uscita all’esordio per mano del turco Marsel Ilhan).
A causa della prolungata inattività, Tommy è persino uscito dal ranking ATP per oltre tre mesi. Sembrava il preludio per il definitivo abbandono, era invece un passaggio necessario per affacciarsi a una nuova vita tennistica. Il terzo turno agli US Open e il successivo quarto di finale raggiunto a Vienna partendo dalle qualificazioni hanno portato Haas a chiudere il 2011 in prossimità della 200esima posizione. Per il rientro fra i primi cento si è dovuto attendere il giugno 2012, ma da lì in poi la risalita ha subito una clamorosa accelerazione.
Il titolo conquistato sull’erba di Halle, battendo nel match clou niente meno che Roger Federer, è stato seguito da altre due finali, ad Amburgo e a Washington, e dai quarti nei Masters 1000 di Toronto (con tanto di set strappato a Djokovic…) e Shanghai. Per un paio di settimane Haas è dunque tornato fra i top twenty. Si poteva tuttavia presumere che fosse il colpo di coda di una carriera brillante e sfortunata, e invece l’ex allievo di Nick Bollettieri non era ancora pago.
In verità il 2013 si è aperto con una bruciante sconfitta, 86 al quinto, al primo round degli Australian Open con il finlandese Jarkko Nieminen, ma poi sono giunte la finale a San Jose (battuto da Milos Raonic), la semi a Delray Beach (altro rimpianto, superato al tie-break del terzo da Ernests Gulbis) e gli ottavi a Indian Wells, con una bella vittoria su Nico Almagro prima della batosta incassata da Del Potro.
Ora l’exploit di Miami, davvero straordinario. Approdato in Florida da numero 18 ATP, Haas ne ripartirà in ogni caso con un posto fra i primi quindici, che gli mancava da oltre cinque anni (gennaio 2008). Un traguardo importante, anche per uno che vanta un best ranking da numero 2 del mondo, toccato peraltro nel maggio di ben undici stagioni or sono, dopo la finale persa a Roma con Andre Agassi. Tredici i suoi centri nel circuito maggiore in venticinque finali disputate, in un lungo percorso che l’ha visto anche raggiungere per tre volte il penultimo atto a Melbourne (la prima nel 1999!) e una a Wimbledon (nel 2009).
«Ci sono stati momenti in cui pensavo di non farcela», ha ammesso con onestà Haas dopo aver battuto Djokovic. «Dopo l’operazione all’anca, però, ho sentito che potevo allenarmi di nuovo con continuità. Se non puoi farlo come si deve, in questo sport non vai lontano. Oggi mi sento bene come non succedeva da tempo».
Con il suo gioco dinamico e versatile, Tommy sembra non patire l’età e i tanti acciacchi del suo fisico. Il talento non gli è mai mancato, ora è arrivata anche la piena maturità, e questo mix esplosivo sta facendogli vivere una fantastica seconda giovinezza. Sulla breve distanza il tedesco può ancora mietere vittime illustri su ogni superficie, e se ne è accorto a proprie spese anche l’indiscusso numero uno del mondo. Difficile prevedere quanto durerà e se Haas si regalerà anche una nuova capatina fra i top ten, ormai a un tiro di schioppo. Quel che è certo, però, è che sul suo volto è stampato il sorriso mite e consapevole di chi ha attraversato le strade più impervie per ritornare dov’è. E adesso Tommy sta godendosela in pieno.
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