Non è stata la più forte, forse la più grande se per “grandezza sportiva” s’intende la capacità di entrare nel cuore della gente, di farsi riconoscere e ricordare, e di lasciare qualcosa di sé alla storia dello sport che si è praticato. E Lea Pericoli, spirito libero, al tennis ha lasciato molto, e in molti […]
di FABRIZIO FIDECARO
Passare da numero quattro a numero uno del mondo nell’arco di un solo torneo, e senza nemmeno vincerlo. Accadde a Carlos Moya, nel 1999 a Indian Wells: in vista dell’imminente avvio del primo Masters 1000 stagionale, ricordiamo quanto accadde nell’anno che concluse il Novecento.
Per cominciare, un po’ di storia. Il torneo di Indian Wells nacque nel 1974 a… Tucson. Già, la manifestazione prese il via nella città dell’Arizona con la denominazione “American Airlines Tennis Games”, che mantenne fino al 1978. La prima edizione ebbe una finale di lusso, che vide prevalere John Newcombe su Arthur Ashe. Nel 1976 l’evento si spostò nella vicina California, prima a Palm Springs, poi (nel 1979) a Rancho Mirage e (nel 1981) a La Quinta. Infine, nel 1987, l’approdo alla sede attuale.
Sono quattro le finali di Indian Wells a essersi risolte solo al set decisivo. La prima, nel 1989, fu vinta da “Gattone” Mecir con una poderosa rimonta su Yannick Noah: il francese si era portato avanti per due set a zero, ma cedette di schianto negli altri tre parziali, arrendendosi con il punteggio di 36 26 61 62 63. La seconda, due anni più tardi, vide l’affermazione di Jim Courier su Guy Forget per 46 63 46 63 76(4). Fu, quello, il successo che lanciò il rosso di Dade City verso i piani più alti del tennis mondiale: due settimane più tardi Big Jim si sarebbe ripetuto a Miami e meno di tre mesi dopo avrebbe trionfato al Roland Garros. Nel 1994 fu Pete Sampras a imporsi in cinque set (46 63 36 63 62) sul ceco Petr Korda, mentre nel 1999 trionfò Mark Philippoussis su Carlos Moya (57 64 64 46 62).
Davvero curiosa la storia di quest’ultima edizione del torneo, che lanciò Moya al primo posto del ranking mondiale per quattordici giorni. Lo spagnolo, alla vigilia, era soltanto numero 4 del ranking ATP, alle spalle del numero uno Pete Sampras, di Yevgeny Kafelnikov e del suo connazionale Alex Corretja. I quattro, però, come anche il numero 5 Patrick Rafter, erano racchiusi in pochissime centinaia di punti, per cui la caccia al primato era apertissima.
A inizio stagione Sampras aveva saltato gli Australian Open, stanco per il rush finale del 1998 con cui era riuscito a conservare la vetta della classifica per il sesto anno consecutivo (un record). A Indian Wells era al terzo impegno stagionale, dopo la semifinale raggiunta a San Jose e il secondo turno di Scottsdale, ma si presentò fuori forma, uscendo all’esordio con Felix Mantilla. Anche Kafelnikov, Corretja e Rafter persero clamorosamente al debutto. Il russo e lo spagnolo pescarono due clienti quanto mai scomodi come Gustavo Kuerten e il futuro vincitore Philippoussis, mentre l’australiano si arrese all’emergente tedesco Nicolas Kiefer.
Così, Moya si ritrovò con l’occasione più unica che rara di diventare numero uno (da numero 4!) senza nemmeno vincere il torneo. Al maiorchino, in effetti, fu sufficiente raggiungere la finale: lungo il suo cammino sconfisse un Courier a fine carriera, il belga Xavier Malisse, lo slovacco Karol Kucera e, in semifinale, lo stesso Kuerten, per 63 16 61. Carlos provò a coronare la sua scalata al trono con il titolo, ma riuscì soltanto a portare Philippoussis al quinto.
Dal 15 al 28 marzo 1999, dunque, Moya guardò tutti dall’alto in basso del ranking mondiale. Già al termine di Miami, però, il vincitore del precedente Roland Garros dovette lasciare nuovamente lo scettro a Sampras. L’iberico fu eliminato negli ottavi dal francese Sebastien Grosjean e a Pistol Pete bastò raggiungere i quarti (dove perse con Richard Krajicek, che poi conquistò il titolo) per assicurarsi i punti necessari al controsorpasso. Moya non sarebbe più stato in carriera numero uno ATP, ma aveva comunque potuto assaporare il suo breve e intenso momento di gloria.