Non erano loro. Né Sinner, né Medvedev… Certo gli somigliavano parecchio, infilati in un programma televisivo di imitazioni lo avrebbero vinto alla grande, ma non erano loro, quasi li avessero scambiati nel corso della notte, o chissà, fossero precipitati al centro di una trama da spy movie, con quelle maschere che trasformano Tom Cruise in uno della banda dei cattivi. Mission Impossibile, a conti fatti, e Sinner se n’è reso conto per primo. «Non ero io», dice. «Mi girava la testa», cosa di cui ha informato il proprio angolo sin dalla fine del secondo set.
Ma ad aver cambiato di più, identico nelle sembianze, irriconoscibile nel modo di condurre il match, è stato Daniil Medvedev, che dev’essere stato oggetto di un ripetuto e profondo maquillage, della sua filosofia, del suo credo tennistico, perfino dell’anima e dunque del comportamento, dal quale sono spariti gli eccessi, le occhiate a presa per i fondelli degli avversari, le inutile scenette che disponeva sul palcoscenico quando pensava di essere l’unico a potersi opporre a Djokovic e – manco a dirlo – di gran lunga il più forte della propria generazione. Poi sono arrivati gli altri, Alcaraz, Sinner, giunti al soglio tennistico meno casualmente di lui, fin qui vincitore di uno Slam con cinque finali perse. La storia la conoscete. Ma certo Daniil deve essersi sentito obbligato a riprendere in mano la propria vita, ad attrezzarsi alla bisogna. E tornare a crescere, cosa che lui forse aveva messo tra le pratiche meno urgenti. Dimostrerà pure qualcosa la crescita della sua panchina, un tempo frequentata solo da coach Cervara e dalla moglie con l’aria perennemente annoiata, e da questo torneo invece traboccante di aitanti giovanotti, con compiti che potete immaginare… Esperto di video tecnica, mental coach, titillatore di motivazioni…
Sinner ha perso, non di brutto, e senza crollare, anzi quasi stoico nel resistere a un avversario in bello spolvero e a una giornata nata sotto pessimi auspici, ma alla fine la testa l’ha sbattuta, su una non meno dura della sua. Ed è logico chiedersi se qualcosa sia cambiato, dopo la lunga corsa ventre a terra che l’ha consegnato in vetta al tennis. Nove mesi condotti a tutta velocità, quasi irreali. Straordinari per le difficoltà superate e gli obiettivi centrati. La prima risposta è che tutto sembra simile a prima. La sconfitta non porta retrocessioni, il primo posto in classifica è ancora saldo. E se qualcuno vi viene a dire che forse un ciclo è finito, dato che il 2024 era cominciato con una vittoria su Medvedev, recuperata al quinto dopo essere stato due set sotto, mentre a Wimbledon quel match si è quasi ripetuto ma con un finale decisamente opposto a quello di Melbourne, avete facoltà di rispondergli con una risata e sussurrargli che di questo ne riparleremo fra cinque anni, magari anche fra dieci.
Qualcosa però sta cambiando nel parterre degli avversari. Il metodo Sinner, che implica la gioia dello studio e del sacrificio, e una vita tutta devoluta al tennis, non dico stia facendo proseliti (magari sì, ma lo sapremo in tempi lunghi) però è finito sotto osservazione, e ha obbligato i rivali a chiedersi che cosa fare per arginarlo. Si assiste a un riposizionamento generale, il tennis fa le ore piccole parlando di Sinner e la Citizen Band dei coach è all’opera, il tennis del rosso è oggetto di giudizi e valutazioni. Le contromisure Jannik potrà trovarle nel suo habitat naturale, di fianco ai tecnici che si integrano alla perfezione. È già tempo di rimettersi al lavoro… E anche se Sinner non ha mai smesso di farlo (cosa probabilissima) è il momento di esaminare tutti gli elementi di novità di cui gli avversari saranno portatori.
Senza preoccupazioni eccessive, però. La sconfitta con Medvedev merita riflessioni, non tormenti. Jannik non stava bene. «Ho dormito male, non so se si tratta di un accenno di influenza, ma già questa mattina mi sentivo poco lucido, fuori quadro. No, al ritiro non ho mai pensato, né prima né durante il match. Si va in campo e si vede, qualcosa può sempre succedere. E devo dare atto a Medvedev di aver giocato una super partita, nella quale ha sbagliato pochissimo». Il primo set si è indirizzato nella direzione giusta in un combattuto tie break che Sinner ha strappato dalle mani al russo (autopunitosi con un doppio fallo) dopo aver rischiato di perderlo. Il primo a giungere a set point è stato infatti l’orso russo.
È dal secondo set che lo stato di relativa lucidità di Sinner è emerso in modo preoccupante. Consegnata la frazione a Daniil, il nostro è stato costretto a chiamare il medico. Non uno sbalzo di pressione, ma uno stato di torpore, di mancanza di lucidità. Tornato in campo con più carica, Sinner si è giocato il set rimontando un break a Medvedev, ma ha sprecato due set point nel dodicesimo game che avrebbero potuto cambiare il corso alla partita. Il tie break ha dato ragione al russo, ma sin dall’inizio del quarto set si è intuito che il match si sarebbe allungato. Il quarto, infatti, Sinner l’ha dominato, e forse Medvedev, vista la mala parata, si è preso un momento di pausa, tornando a spingere già dai primi momenti della quinta frazione. Il break nel terzo game ha deciso l’incontro. «Di solito gioco il quinto set con la massima tranquillità, come fosse un set normale», ha spiegato Sinner, «ma spesso rischio nei primi game. Un argomento sul quale devo riflettere». In quello, di fatto, Medvedev è stato più feroce di Jannik. «Una sconfitta che dispiace», conclude Sinner, «ma non cambia granché. Anzi, ho giocato buoni colpi anche nei momenti più difficili per me. Non devo essere troppo demoralizzato. Ci sono i Giochi, ai quali tengo tanto. Poi la stagione sul cemento, la mia preferita. Ora tocca a Lorenzo Musetti, gli auguro di arrivare alla semifinale, può farcela. E la Paolini è stata bravissima». Resta un bel momento per il nostro tennis. Sinner, anche se sconfitto, parla da capitano.
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