Da tempo gli scienziati dibattono se esista o meno un’energia in grado di influenzare le strutture a grande scala, tra queste il cosmo che si espande a velocità sempre maggiore. La chiamano, dato che non è mai stata realmente provata o rintracciata, energia oscura. Nel tennis, il dibattito in questione è già dato per superato. In molti sono convinti che alcuni dei tennisti di primo piano siamo portatori attivi di questa energia. La prova incontrovertibile, sul campo, se non proprio in laboratorio, viene dallo stato di profonda frustrazione fisica e psichica che coglie i loro avversari. La sintomatologia è a dir poco perversa, muovendo dall’improvviso incollaggio delle gambe, incapaci di procedere alle consuete velocità, per finire con la sparizione dai propri pensieri di qualsiasi trama di gioco avessero intenzione di mettere in pratica, salvo quella più comoda per i loro torturatori.
Nei primi due anni del suo vagare nel mestiere dei “pro”, Jannik Sinner era la vittima sacrificale di Daniil Medvedev, uno che l’energia oscura la produce in quantità industriale. Ma lo scenario si è ormai ribaltato, e da due match, degli otto fin qui giocati, è il nostro semoloso rappresentante a potersi concedere, durante la premiazione, quel po’ di compiaciuto sostegno che non si nega mai a chi si è battuto con onore. «Spero di incontrarti tante altre volte in finale». Se lo può permettere, JS, dall’alto dei miglioramenti perseguiti e via via incamerati, tessere di un puzzle un tempo un bel po’ incasinato, che via via hanno trovato la giusta collocazione, fino a fare oggi di Jannik uno dei più virulenti, continui, solidi e persino spietati protagonisti del tennis sul cemento. Di certo uno dei primi tre, forse due, sul cemento indoor.
L’ho visto reggere scambi forsennati in questa finale di Vienna, senza però mai attendere l’errore dell’avversario, anzi, quasi sempre capace di ribaltarli (con un lungo linea improvviso, di solito, ieri il colpo che ha risolto il match), se non addirittura prendendo in mano lo scambio a partire dalla risposta. Ha sfidato il russo apertamente, Sinner, quasi costringendolo a servire con sempre maggiore veemenza, fino a fargli saltare qualche fusibile del suo impianto da robot con licenza di inventare colpi a sorpresa. Convinto, il nostro, di avere la mano salda per qualsiasi replica, e alla fine intorpidendolo al punto che la seconda di servizio del russo ha deciso di piantarlo in asso.
Eppure, sebbene l’elenco delle migliorie apportate al gioco, e anche alla testa di Sinner sia sotto gli occhi di tutti («È stato un match di grande sforzo mentale, questo con Medvedev, molto duro da condurre in porto», ha assicurato con convinzione Jannik), niente mi trattiene dal pensare che nel piano di studi del ragazzo, sia stata inserita anche qualche pagina sul mitridatismo e i suoi molteplici benefici, che poi sarebbero essenzialmente quelli di rendersi immune alle potenti sostanze tossiche emesse dai propri avversari. Ora l’antidoto è stato trovato, l’energia oscura di Medvedev sembra appartenere davvero al passato. O forse si sta rivelando meno potente di quella che ha preso a emanare lo stesso Sinner. Ma qui il discorso diventa da saga di Guerre Stellari, ed è meglio lasciar perdere. Anche se nei panni di Darth Sinner, il nostro ragazzo comincio a vedercelo.
È stata una dura finale, al di là della durata (tre ore e 4 minuti) e del punteggio che alla fine ha costretto mamma Sinner ad asciugarsi una lacrima, per la commozione di vedere il suo bambino di un metro e novantuno, che le faceva ciao ciao con la manina mentre con l’altra alzava la Coppa. Nel terzo set lo sgambetto a Medvedev ha preso forma quando il russo si è convinto che giocando di potenza, ma in sicurezza, un colpo da una parte e uno dall’altra, Sinner si sarebbe ritrovato presto gambe all’aria. Un errore di valutazione misto a quel po’ di presunzione che Daniil non riesce proprio a dismettere. Il quarto game avrebbe dovuto insegnargli qualcosa… I due si sono confrontati su un game di 32 servizi, lungo quanto un set, nel quale il russo ha rimontato il 15-40 e ha avuto sei possibilità di tenere il servizio, ma ha concesso a Sinner nove palle break, l’ultima (finalmente) fatale.
Ma il game-partita non è bastato, e il seguito si è mostrato forse ancor più emozionante. Portatosi sul 3-1, Jannik ha ceduto la battuta nel quinto game, ma non ha permesso ugualmente a Medvedev di raggiungerlo, perché si è ripreso il break sulla successiva battuta del russo.
L’ultimo attacco di Medvedev è giunto sul 5-2 per Sinner. Il russo è salito 5-3 cancellando un match point all’italiano, e sulla successiva battuta di Sinner ha avuto due palle per il 5-4, l’ultima sprecata con una scimunita sbracciata di dritto su una smorzata lavorata male. Palla comoda, giusto da rifinire, sulla quale Medvedev ha preferito la chiusura di forza, riuscendo a spedire il dritto trenta centimetri oltre la riga. Una sorta di autodafé, la penitenza pubblica dei condannati dall’Inquisizione. Del resto, se Daniil non riesce mai a confermarsi nei tornei ai quali si presenta come campione in carica (e a Vienna lo era), una ragione deve pur esserci.
È la decima vittoria di Sinner, quante ne ha ottenute Panatta in tutta la carriera. Più importanti quelle di Adriano, ma a Sinner il tempo per fare meglio, non manca. È anche il quarto successo dell’anno (dopo Montpellier, Toronto e Pechino), imprese mai riuscita a un tennista italiano. Il miglior viatico per presentarsi alle Finals di Torino nel ruolo di ammazza-grandi.
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