La parola del Direttore

Bravo Jannik, ma la sua meta non è Panatta

Smettete di chiedervi quando nascerà un nuovo Panatta. È già qui, finalmente ce l’avete, si chiama Jannik Sinner, visto in versione Demolition Man contro Alcaraz nella semifinale di Pechino. Uno che a Panatta, per fortuna (di entrambi) non somiglia nemmeno un po’. Due tipi agli antipodi per aspetto e mentalità, chissà se capaci di attrarsi, come spesso succede fra poli opposti. Sono i numeri, al momento, a fornirci l’insolito confronto, 4, 47, 26 e 22 se qualcuno avesse voglia di giocarseli. I numeri, si sa, non dicono tutto, ma qualcosa sì. Per esempio, che Sinner e Panatta da ieri sono accomunati dalla classifica più alta raggiunta da un tennista italiano da che il tennis è Open. Numero 4. Ottenuta da Adriano il 24 agosto del 1976, a 26 anni, grazie ai successi su Borg, Dibbs e Solomon a Parigi, facce diverse di un tennis che riunito nel Club dei più forti offriva un’immagine d’assieme di tutto rispetto, un autentico parterre de roi: c’era Connors al numero uno,  poi Borg e Vilas, e dietro Panatta seguivano Nastase sulla quinta poltrona, quindi Orantes, Ashe, Ramirez, Dibbs e Solomon. Adriano (è un vanto) li ha sconfitti tutti, dal primo all’ultimo. A Sinner è bastato meno si potrebbe pensare, ma non è così vero a considerare l’età del ragazzo. Jannik ne ha 22, dunque viaggia con quattro anni di anticipo su Panatta, e si può ben accettare che dei suoi nove compagni di cordata (Djokovic, Alcaraz, Medvedev, e alle sue spalle Tsitsipas, Rune, Rublev, Fritz, Ruud e Zverev), due non sia ancora riuscito a superarli. Djokovic, da una parte, Medvedev dall’altra, il russo che oggi affronterà nella finale di Pechino (di mercoledì… scherzi del calendario cinese).

L’ultimo numero della quaterna vincente è il 47, che sono gli anni di attesa occorsi per ritrovare un italiano lassù, nei primi cinque. «Benvenuto a Jannik»,

festeggia Panatta, «era ora, lo aspettavo da un po’. Quanti anni sono trascorsi? Quarantasette? Ecco, per tutto questo tempo ho dovuto rispondere alla domanda su quando sarebbe nato un nuovo Panatta… Lo accolgo come una liberazione. Ma sono contento per lui, perché è bravo e se lo merita. E sono certo che sappia benissimo che non ero io la mèta da raggiungere. C’è ben altro nel suo futuro e ha tutto il tempo per provarci. Non solo: sconfitte come questa, Alcaraz rischia di portarsele dietro a lungo».

Questo è sicuro. Quattro sconfitte, lo spagnolo non le aveva ancora rimediate da nessuno. Nemmeno da Djokovic, o da Medvedev… Quest’ultima, poi, ha tutte le caratteristiche della caduta senza paracadute. Un tonfo. Sul quale Carlitos farebbe bene a indagare, se non altro per spiegare a se stesso perché mai, quando se lo trova di fronte, Jannik gli mandi in confusione tutti i neuroni tennistici. Poco da fare, JS lo pone di fronte a uno dei misteri del suo tennis, forse l’unico al momento. Si vede che lo soffre, dalle espressioni, dall’esibito dialogo con la panchina, dai gesti con i quali tenta di spiegare a tutto il mondo di non essere con la testa nella partita, quasi ad avanzare una scusa che lo aiuti a nascondere la propria frustrazione, dietro cui ammorbidire lo sconcerto che lo assale e lo stringe fino a impedirgli di pensare. Qualcosa del genere succedeva al suo idolo, Federer, quando giocava sulla terra rossa contro Nadal. Ma Alcaraz non è Federer e Sinner non è Nadal…

Sembra, Jannik, il fratello maggiore che metta in campo i propri diritti di primogenitura. Alcaraz alla fine si sottomette. Non sempre, è vero, ma spesso. E ieri più di altre volte. È partito di slancio, Alcaraz, ha subito ottenuto il break, quasi sfacciato per la violenza dei colpi e la ricerca delle righe. È salito 2-0 e si è fatto riprendere. Non è servito nemmeno un nuovo break, nel quinto game, per avere via libera. Anche nel momento peggiore (dei primi quattro servizi JS ne ha persi due e uno l’ha salvato contro due palle break) l’italiano si è aggrappato alla solidità del proprio tennis, ed è stato Alcaraz a smarrire il filo di un tennis che sembrava renderlo inaccessibile. Un duro colpo ammettere di non essere riuscito a scalfire Sinner, nemmeno mettendo in campo la miglior versione di  sé. Ora è Jannik a dettare i tempi del match, recupera il break e si va al tie break. Vola 5-2, perde due servizi ed è 5-4, ma i regali di Alcaraz non sono finiti e Sinner chiude con un’invenzione, riuscendo in risposta ad anticipare il dritto con un’angolazione quasi impossibile.

Il secondo set, in avvio, somiglia al primo, Sinner offre cinque palle break ma Alcaraz sul più bello si ferma, non trova colpi e il carattere non lo aiuta. È Sinner ha mettere in campo più temperamento, a rimontare sempre, a non lasciare niente d’intentato. Carlos si affloscia. Gli ultimi game impapocchia un filo di resistenza, ma è più il tempo che passa a spiegare al suo angolo di non avere i pensieri giusti, che quello dedicato al tennis. Il match si chiude con numeri non troppo distanti: i vincenti sono 15-13 per Sinner, gli errori 30 ciascuno. La voce più deludente è la seconda di servizio dello spagnolo, talmente comoda da permettere a Sinner una vera esibizione balistica.

Oggi c’è Medvedev, visto in bella copia contro Zverev, cui ha concesso poco o niente. Settimo match tra JS e l’Orso. Per l’italiano, sei sconfitte da dimenticare. Ottava finale del 2023 per il russo, la quinta per Sinner (due, a Rotterdam e Miami, perse proprio contro Daniel). Chissà, magari è l’occasione per ribaltare la situazione. «C’è altro nel futuro di Sinner, ma c’è anche tanto tempo per scoprirlo». Proprio come dice Panatta.

Daniele Azzolini

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