È il giorno della finale femminile di Wimbledon, una sfida inedita per questo punto di uno Slam e che ritrova due grandi protagoniste degli ultimi anni.
Se il risultato fin qui ottenuto da Ashleigh Barty non sarebbe dovuto essere in discussione, c’era però a inizio torneo una forma e soprattutto una fiducia da ricostruire dopo l’infortunio che ha rovinato il Roland Garros. Per Karolina Pliskova, invece, si è trattato di un vero colpo inaspettato, un po’ per la lunga assenza da una finale Slam e un po’ per il lungo periodo ormai di fatica e problemi.
Sono la numero 1 del seeding contro la numero 8, promossa in top-10 per via delle varie assenze (Naomi Osaka, Simona Halep, Jennifer Brady) malgrado avesse perso la top-10 nel ranking ufficiale dopo quasi cinque anni consecutivi. Ci rientrerà, e farà un balzo importante almeno al numero 7 del mondo con la possibilità di salire fino al numero 4 dovesse riuscire oggi a completare la sua ribalta sul palcoscenico più prestigioso che ci sia. Fino al 2018 si diceva di lei che fosse quasi paradossale come con quel servizio e quella qualità nei colpi non fosse mai riuscita a passare la prima settimana a Londra, adesso si è spinta fino all’ultimo atto.
Non sarà probabilmente favorita sulla carta, Barty tratta l’erba in maniera migliore sotto tanti aspetti, ma è un’occasione speciale per entrambe e a questo punto i valori reali possono anche passare in secondo piano dovesse subentrare la realtà dei fatti, ovvero un trofeo mai così vicino.
Ashleigh sembra in una fase di maturazione eccezionale. L’essere numero 1 del mondo non le è mai realmente pesato. Non ha mai visto quel traguardo come “soffocante”, come invece tante altre prima di lei hanno patito (Pliskova compresa) e il suo atteggiamento che ha da sempre avuto nei confronti dello sport, da quando è rientrata dalla pausa di due anni, hanno fatto sì che dal nulla creasse un ambiente attorno a lei molto leggero, semplice, serio. Per lei non esiste mai l'”io”, “io” Barty. Quando parla è sempre un “noi”, “noi” come “my team and I”. La squadra prima di tutto. Un senso di riconoscenza importante: quello che lei fa è il risultato di tutto quello che avviene nella squadra, con Craig Tyzzer come coach che la sta seguendo fin da inizio marzo in questa cavalcata in giro per il mondo. Sono loro due da soli, non possono tornare in Australia prima almeno di metà ottobre a causa delle restrizioni covid-19. Qui a Londra per l’occasione c’è anche il fidanzato, ma rimane sempre un gruppo molto piccolo, ed è tutto ciò di cui Ashleigh ha bisogno. Persona tranquilla, abbastanza riservata, dotata di un’intelligenza in campo fuori dal comune e in grado di sviluppare un gioco completo e spesso letale malgrado sia appena più di 160 centimetri e non abbia mai avuto tanta forza sul rovescio. Eppure lo slice che ha sviluppato nel tempo è una rasoiata che può far tanto male.
Oggi le servirà, perché il suo obiettivo principale sarà far giocare Karolina. Se la ceca baserà tutto su colpi piatti, ha un limite che lei può far evidenziare tagliando gli angoli soprattutto di dritto, con un top spin molto stretto sulla riga laterale. Quando Ash avrà il comando, è probabile possa tornare alla strategia che spesso le frutta parecchio: spingere verso il dritto dell’avversaria per aprirsi il campo e girarsi a sinistra per colpire col dritto anomalo. Contro Angelique Kerber non l’ha fatto particolarmente, ma il merito (enorme) è nella capacità della tedesca di difendersi tanto bene col rovescio solido e centrale oppure stringendo l’angolo e ribaltando l’inerzia. Pliskova invece dovrà fare una partita di grande pazienza. Ha mostrato nel torneo di reggere gli scambi, ma spesso partiva da una posizione di vantaggio rispetto all’avversaria. In semifinale invece si è superata grazie al servizio, perché a conti fatti ha concesso una sola palla break in tre set e solo in quel game sul 5-6 ha permesso all’avversaria di arrivare a 40. Perso il set con un doppio fallo, da lì in avanti nei propri turni di battuta ha retto benissimo la grande pressione che Aryna Sabalenka poteva portare. Oggi, però, sarà uno scenario ben diverso.
È indietro 2-4 nei confronti diretti, Karolina, 2-5 se contiamo anche il match che hanno giocato nell’ITF di Nottingham del 2012. L’unica finale disputata tra le due fu vinta da Barty, nel 2019 a Miami mentre la loro partita di quest anno, a Stoccarda, fu persa con tanti rimpianti dalla ceca. In quel quarto di finale si spartirono i primi due set in maniera netta (6-2 Pliskova il primo, 6-1 Barty il secondo) e nel terzo Karolina trovò il vantaggio nelle prime fasi, con un break per il 2-1 poi confermato. Barty era costantemente pericolosa in risposta, ma Pliskova stava trovando ottime conclusioni in ogni palla break affrontata. Serviva tanto bene da sinistra, mirando spesso alla linea laterale, e così si è portata fino al game sul 5-4 dove non ha mai avuto match point ma continuava a cancellare palle break su palle break. Alla quinta chance nel game, però, Barty ha indovinato la risposta e ha girato la partita chiudendo 7-5 e volando in semifinale.
In questo Wimbledon, Barty ha perso set solo all’esordio contro Carla Suarez Navarro (6-1 6-7 6-1) partita doveva aveva anche servito per chiudere sul 5-4 nel secondo. Non era un’australiana brillante, ma è riuscita a passare i primi turni giocando al di sotto del livello tradizionale, dopo la pausa per il problema fisico a Parigi. Neppure Pliskova aveva brillato nel primissimo match giocato, perché rischiava di perdere male il set d’apertura contro Tamara Zidansek prima di salvarsi cominciando a colpire bene e a braccio sciolto rientrando dal 2-5 e salvando set point. Da lì non ha mai concesso più di tre game a set, fino alla grande rimonta in semifinale.
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