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Sinner, fra Tennis e Anti-tennis la sfiga talvolta fa la differenza

Tennis e anti-tennis come sempre si danno la mano, tendono a chiudere il cerchio e si propongono come un tutt’uno, senza però riuscirvi del tutto. Yin e Yang non sono del tutto autosufficienti per quanto nobilissime filosofie insegnino il contrario, non nel tennis quantomeno, dove basta una fessura, una porta lasciata socchiusa, per consentire le scorribande delle più ingenerose diavolerie che le condizioni del match possano consentire. Quasi sempre riunite sotto un unico concetto, conosciutissimo eppure terribile, quello della sfiga più nera.

Nell’apprendimento progressivo che l’università tennistica di Riccardo Piatti a Bordighera sta impartendo al giovane Jannik Sinner, che già con quel cognome (il peccatore in inglese) dovrebbe stare attento il suo, una riflessione su avvento e dispersione della sfiga, sui modi di innesco e disinnesco  delle sue proprietà esplosive, dovranno prima o poi inserirla fra le lezioni da proporre agli studenti. E se vogliono portare un esempio, ce l’hanno in casa. Quello del povero Semola che da Artefice del Tennis (con le sue brave maiuscole) in questo primo turno dello Us Open sotto la bolla, si è trovato nel breve volgere di pochi minuti all’altro capo del filosofico cerchio, a rappresentare quell’anti-tennis che certo lui non ha nelle sue corde, avvezzo com’è a giocare con il talento nelle braccia e la capa sempre concentrata sulle cose giuste da fare.

I primi due set del match con Khachanov, il russo già incontrato e battuto questa estate a Berlino, in un hangar del vecchio aeroporto, in una delle esibizioni inventate per ricordare che il tennis non fosse del tutto scomparso, hanno reso evidente che in questo sport vi sono essenzialmente due categorie di giocatori: chi colpisce la palla per costruire, chiedendosi il perché, e chi invece la colpisce tanto per fare, e il perché se lo chiede dopo. Tennis e, appunto, anti-tennis. Con Semola fieramente addossato alle insegne del gioco di più alto concetto, quello della costruzione del punto e dello smantellamento progressivo degli altrui tentativi. E come Sinner reciti bene in questi panni, non è davvero una sorpresa. Pungente sul servizio, violento nelle accelerazioni, ispirato nelle traiettorie a spingere di lato il russo, sulle quali non mancava l’intervento a rete.

Karen, che è un lui, Khachanov appunto, replicava con il palleggio, con la sbracciata, con il servizio sempre violento. È un “quasi” due metri, e non è tipo da non mettere in campo tutto ciò che il suo bagaglio tecnico gli consenta. Ma resta casuale nelle scelte, e forse è questo che non gli ha consentito di prendersi in via definitiva la sua poltrona nella business class della top ten. Ci è arrivato (è stato numero 8) e ne è subito uscito. Ora è il sedicesimo del ranking.

Sei tre, sette sei (stesso punteggio dell’esibizione di Berlino) per il nostro tennista, appena diciannovenne, con le efelidi già in festa per il buon andamento del match. Ma sul due pari del terzo, ecco che un movimento un po’ frettoloso al servizio gli ha procurato un risentimento nella zona lombare, che si è rapidamente propagato al flessore delle gamba sinistra. Lo si è capito subito. I movimenti sono cambiati, la corsa si è irrigidita, l’intervento del fisioterapista ha sancito l’avvenuta presa di possesso del match da parte della sfiga. Da due a zero a due pari, quasi in un lampo.

Che fare in questi casi? Proprio quello che non tutti sono disposti a fare. Resistere al dolore, e provare a spostare la sconfitta di quei minuti utili, forse, a riprendersi e risalire la china. Jannik ci ha provato. Quel po’ di energie rimaste l’ha messe tutte nel quinto set. Scelta giudiziosa, condivisibile, quasi eroica visto il perdurare del dolore e l’obbligo di giocare un tennis di solo braccio, pronto a colpire a tutta potenza le palle che il pensatore russo continuava a piazzargli ciecamente nel raggio della racchetta. Non è bastato, purtroppo, ma non si può dire che non sia servito. Rimbalzando fra una palla break e l’altra Sinner si è issato fino al tie break, e di più non ha potuto fare, salvo recuperare dal 5-2 al 5-4, giusto per determinare qualche ulteriore affanno al filosofo moscovita, oggi cittadino di Dubai. Karen ha ritrovato la prima palla di servizio nel momento più teso del tie break. È stato l’ultimo colpo di sfiga. Sinner ha capito e il match se n’è andato. Pazienza. Da vincitore plausibile a vincitore morale. Ci sta. Ma va avanti Khachanov.

Daniele Azzolini

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