C’era un tramonto incredibile l’ultima domenica di Wimbledon 2019, quello che è venuto dopo una partita diventata epica per diversi motivi; il tramonto tardo di Londra, quello delle nove della sera, quello che il sole è già invisibile ma il cielo è ancora bellissimo. Un tramonto triste per alcuni tifosi, splendente per altri, come lo sport comanda, insegna; sono le cose di cui si nutre, i sentimenti di chi lo segue, la passione, immagini e ripartenze.
Una ripartenza che non ci sarà, non per l’erba né per Wimbledon, molto probabilmente. Nessun tramonto quest’anno a South West 19, Church Road non si animerà di file e di controlli, di favoriti e di sconfitte premature, non ci saranno le solite polemiche per la lentezza della superficie, per le rovine che rimangono dopo appena due giorni di gioco sul campo.
Dick Hordorff, adesso vice presidente della federazione tedesca di tennis, dice di aver ricevuto notizia della quasi certezza della cancellazione dell’intera stagione su erba (Wimbledon compresa, quindi) che dovrebbe arrivare il prossimo mercoledì. Le sole volte in cui non si è giocato ai Championships sono gli anni della prima e della seconda guerra mondiale.
Siamo nel bel mezzo di una pandemia: nessuno lo scorso anno o anche all’inizio di questo avrebbe mai immaginato che le cose avrebbero preso questa piega, nessuno di noi ha mai vissuto niente di immaginabile, imparato a fare i conti con parole come “lockdown”, “quarantena”, “distanziamento sociale”, “periodo di incubazione”, “misure draconiane”.
Per noi, che passiamo più di metà del nostro tempo ad aggiornare livescore e guardare una pallina gialla su campi di diverso tipo, le parole note sono altre, c’è sempre un torneo, uno alla settimana, fino a dicembre. C’è sempre qualcosa da aspettare, qualcosa a cui appigliarsi, le nostre certezze.
Ora spazzate via da qualcosa di infinitamente più grande di noi, che ti costringe a rivedere le priorità e tra queste, al momento, non c’è il tennis. Non c’è lo sport, non c’è il nostro modo di vivere leggero e di drammatizzare, casomai, una partita di tennis, fosse anche quella finale lì o un’altra che è passata, un’altra che arriverà, chissà quando.
Quando la nostra vita, il tennis, torneranno alla normalità, non ci è dato saperlo, si può solo lottare contro un nemico invisibile e subdolo, superarlo per riprenderci quello che oggi ci manca terribilmente ma non osiamo neanche dirlo, per rispetto di chi questa guerra l’ha già persa.
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