Un fenomeno atletico come lei non poteva non iniziare a vincere sin da giovanissima. E infatti: nel 2005 trionfo all’Orange Bowl, nel 2006 una profetica finale in Australia (ko contro la Pavlyuchenkova) e, soprattutto, il primo Slam. Curioso a dirsi, lo vinse a Wimbledon, il major dove nella carriera pro ha poi raggiunto i risultati peggiori: non è mai infatti riuscita ad arrivare ai quarti (sull’erba ha comunque vinto due titoli, entrambi a Eastbourne). In finale sconfisse la Rybarikova, ma la partita memorabile fu la semi, vinta 8-6 al terzo contro la Radwanska. Non Aga, Urszula.
L’amica Aga fu battuta in un’altra semifinale per Caro storicamente importante, quella del suo primo titolo ottenuto nel circuito maggiore. Nell’estate 2008, la neo-diciottenne Wozniacki sollevò il trofeo di Stoccolma, lasciando le briciole alle avversarie: 7 game ad Angelique Kerber, 1 alla wild-card finlandese Laine, 4 alla Medina Garrigues, 2 in finale a Vera Dushevina e, appunto in semifinale, 5 alla campionessa uscente Radwanska.
Curiosamente, 64 61 era stato lo stesso identico risultato con cui la polacca aveva sconfitto la danese l’anno prima, sullo stesso campo, nel loro primo scontro diretto assoluto. Un’altra curiosità? Aga aveva vinto il torneo superando in finale la stessa avversaria, la Dushevina, lasciandole lo stesso numero di game. La Radwanska però vinse 61 61, la Wozniacki 60 62.
Nel settembre del 2009, Caro era già una nuova certezza del panorama mondiale. Con 6 titoli in palmares e 7 finali fino a quel momento in stagione (tra cui una Mandatory, persa a Madrid contro la Safina), la Wozniacki si presentò a New York come n.9 del seeding. Onorò nel migliore dei modi la posizione, superando in una partita mozzafiato la regina di Parigi Kuznetsova (26 76 76), Melanie Oudin e Yanina Wickmayer per diventare la prima tennista, maschi compresi, danese a raggiungere una finale Slam.
Dove fu fermata dalla maggiore maturità di Kim Clijsters, che di pagine storiche in quel torneo ne scrisse parecchie: sconfisse sia Venus che Serena (quest’ultima nella famosa partita delle minacce contro la giudice di linea) e diventò la prima wild-card a vincere gli US Open, nonché la prima madre dal 1980 a trionfare in uno Slam.
Il 2010 fu all’insegna della stessa, impressionante continuità. 8 finali, di cui 6 vinte, sempre almeno agli ottavi negli Slam (a Parigi nei quarti, a NY riuscì quasi a confermarsi, fermandosi in semifinale contro Vera Zvonareva). Il tutto non poté che portare a un traguardo: a Pechino, superando Errani, Kvitova, Ivanovic, Pe’er e vendicando in finale la sconfitta newyorkese contro la Zvonareva, Caro diventò la nuova n.1 del mondo, la quinta della storia “senza corona”, ovvero senza aver vinto uno Slam. Delle sette giocatrici finora protagoniste di questa spinosa posizione, fa parte delle quattro che sono riuscite a uscirne (le altre sono Clijsters, Mauresmo e Halep).
La danese è riuscita a rimanere seduta sul trono per 49 settimane consecutive, 71 complessive, per due finali di stagione (2010 e 2011).
Se il 2011 fu sulla falsariga del 2010, dal 2012 cominciarono i problemi: sebbene ancora giovanissima, il gioco di Caro si rivelò troppo dipendente dalla forma fisica, che mostrò qualche crepa. Infortuni e prestazioni sottotono (tra il Roland Garros 2012 e Wimbledon 2014, solo in due occasioni riuscì a raggiungere, senza comunque superarli, gli ottavi) allontanarono la danese dai vertici.
A controbilanciare il non esaltante periodo agonistico, vi era però la storia d’amore con il golfista nordirlandese Rory McIlroy, il quale era invece nel periodo di massima fortuna professionale. Quando a Capodanno 2014 la Wozniacki annunciò il loro fidanzamento ufficiale, la loro love story andava avanti da circa tre anni e sembrava inarrestabile. Non fu così: nel maggio dello stesso anno McIlroy interruppe la relazione in modo brusco e molto poco sensibile: Caro ha poi rivelato che il tutto si risolse con una breve telefonata e che da allora non ci furono più tentativi di contatto da parte del golfista.
Quello che poteva essere il colpo di grazia anche per la stagione professionale, si rivelò uno stimolo di riscatto: giocò una buona stagione sull’erba (semifinale a Eastbourne, ottavi a Wimbledon), vinse il torneo di Istanbul iniziando con un 60 60 a Belinda Bencic e finendo con un 61 61 a Roberta Vinci e si presentò negli Stati Uniti in ritrovata forma e fiducia.
L’unica capace di batterla sul cemento americano fu un’altra giocatrice che sentiva il bisogno di rimettere i puntini sulle i, Serena Williams. Se in quel mese (e per tutto l’anno a seguire) la fuoriclasse statunitense fu ingiocabile, la Wozniacki disputò un finale di stagione stellare, ritrovandosi dopo cinque anni a una partita dal primo trionfo Slam (Serena vinse con un doppio 63) e disputando un Masters memorabile, terminato in semifinale forse anche per paura di vincere, con un servizio per il match e un vantaggio di 4-1 nel tie-break finale sprecati. L’avversaria? Indovinate.
Nel duello contro Maria Sharapova, la Wozniacki ha sempre fatto fatica: ci sono state la vittoria a New York nel 2010 e la passeggiata a Indian Wells nel 2011, ma anche diverse sonore sconfitte, tanto che l’head to head finale dice 7-4 Masha. Nel finale di 2014, però, Caro ha vinto i loro due incontri più memorabili.
Nell’estate 2014 la russa era tutt’altra giocatrice rispetto a quella che ora tristemente “ammiriamo”: campionessa di Parigi, stava ritrovando feeling anche con il cemento, tanto che da lì a pochi mesi avrebbe ritrovato in Australia una finale Slam (e purtroppo per lei l’ultima in assoluto) sul duro. Testa di serie n.5, Masha aveva strapazzato nel turno precedente Sabine Lisicki e partiva con i favori del pronostico. Caroline giocò invece un match perfetto, offuscato solo dal secondo set. In tre set ancora più belli e combattuti, la danese bissò nella prima giornata robin delle Finals. Sono rimaste le ultime due vittorie di Caro su Masha.
Pochi sport, forse nessuno, gioca sul filo delle sliding doors come il tennis. Pensate a quel 17 gennaio 2018. Caroline Wozniacki veniva da un finale di 2017 entusiasmante, con la vittoria del torneo più importante della propria carriera, le WTA Finals (sconfiggendo Venus Williams per la prima volta in carriera) e il ritrovato podio nel ranking, tanto che agli Australian Open aveva un “2” affiancato al proprio nome. Era dal 2012 che non si trovava così in alto.
Poi però una sconosciuta qualsiasi, la croata Jana Fett, 119 del mondo e una sola partita Slam vinta in carriera (il dato è ancora valido, sebbene da junior proprio a Melbourne raggiunse la finale, nel 2014), si ritrovò 5-1 40-15 nel terzo set. In modo incomprensibile, quasi intollerabile. A non tollerare la situazione, come spesso accade, fu più l’underdog, tanto da non chiamare, sul primo match point, il falco su una prima di servizio giudicata fuori ma che in realtà era ace. Una porta totalmente chiusa si riaprì per abbracciare un’altra realtà, quella della favola.
Da lì in poi la Wozniacki non sbagliò più nulla, regolando in successione Bertens, Rybarikova, Suarez Navarro, Mertens e Halep. Una finale commovente perché teatro di un duplice possibile riscatto: entrambe arrivate lì con match point salvati (la rumena ne aveva salvati tre nel terzo turno contro Lauren Davis), entrambe con la chance di togliersi finalmente il peso di regine senza corona, dopo due finali Slam perse a testa.
Come non di rado capita nel tennis femminile, un fenomeno di precocità rischia di non ritrovarsi ancora ai vertici da “anziana”. Soprattutto se giochi un tennis prettamente atletico e se hai iniziato davvero presto. A nemmeno 28 anni, Caro Wozniacki era una veterana, aveva macinato chilometri su chilometri, era morta e rinata già un paio di volte. Aveva fatto il suo debutto ITF a poco più di 13 anni, a 19 era in finale a New York, a 20 era n.1 del mondo. Poteva finire già così.
Ritrovarsi invece a godersi i frutti più preziosi a fine carriera ha dato al tutto ben altro sapore. Se ora passiamo da una campionessa Slam mai stata n.1 all’altra, la Wozniacki ha sofferto per quasi tutta la carriera l’accusa contraria: quella di essere stata al vertice della classifica senza essere mai stata, in uno dei tornei che contano, la più forte.
Quel 28 gennaio ci riuscì e ci riuscì con una soddisfazione doppia, tornando n.1 del mondo dopo sei anni esatti: nessuna aveva mai fatto passare tanto tempo. La corona era arrivata ora che era tornata regina.
Si potrebbe dire che dopo quel giorno la carriera di Caroline ha avuto poco da dire. C’è del vero. Ancora due titoli, a Eastbourne e Pechino (due cerchi che si chiusero: lì vinse primo Premier e primo Mandatory, lì vinse gli ultimi), ma nient’altro di rilevante. Se non fosse per quelle due parole, artrite reumatoide, che danno tutt’altro significato al periodo finale della carriera della danese.
Un annuncio, quello che diede dopo l’uscita dalle Finals, che impressionò il mondo del tennis (come quello di Venus anni prima), ma che la diretta interessata ha affrontato con la consueta determinazione. E con la nuova serenità di chi non aveva più conti in sospeso con il mondo che le ha dato tutto. Il nuovo amore, il cestista David Lee, ha fatto il resto, chiudendo un altro cerchio: questa volta niente fughe prima del matrimonio! Il quale è arrivato, nel giugno 2019, nella location da sogno di Castiglion del Bosco, a Siena. Era davvero l’ultimo match point da mettere a segno rimasto.
C'è anche Flavio Cobolli al Fan Village delle Nitto ATP Finals di Torino. Ventiduenne romano…
Finisce malissimo l'avventura alle WTA Finals di doppio per sara Errani e Jasmine Paolini, che…
Finale rocambolesco per il girone verde, che aveva visto ieri pomeriggio il forfait di Jessica…
Jannik Sinner da una parte, Carlos Alcaraz dall’altra. Questo il verdetto del sorteggio dei gironi…
Elena Rybakina è riuscita nell'unico vero compito rimastole: lasciare Riyad con buone sensazioni in vista…
Non riesce Jasmine Paolini a superare il gruppo viola alle WTA Finals, travolta contro Zheng…