Il successo della Spagna con Rafael Nadal in campo e autore del punto decisivo non ha salvato le sorti della prima edizione della nuova Coppa Davis. C’è però ben poco da festeggiare, per Kosmos e ITF, dopo una settimana che si prospettava da subito complicata e ha fatto acqua da tutte le parti.
L’associazione Kosmos è entrata a gamba tesa nelle tasche dell’ITF proponendo tanti soldi per reinventare una competizione che esisteva da oltre 100 anni ed è stato ancor più sbalorditivo come tutto ciò sia successo in fretta. Fondata soltanto nel 2017, un anno più tardi portava i vertici delle federazioni tennistiche mondiali al voto a Orlando.
La critica non ha quasi mai sorriso a Gerard Piqué, a capo della delegazione Kosmos e proveniente dall’universo-calcio. Il momento del tennis maschile vive di un equilibrio molto precario, e la sua “bravura” probabilmente è stata quella di presentarsi con molti soldi a un’associazione debole, incapace anche solo di decidere come deve finire una partita (a oggi i quattro Slam propongono ancora un esito completamente diverso l’uno dall’altro). E la Davis? I 110 anni di storia sono stati cancellati nella maniera più immediata. E non solo, perché nel silenzio generale, senza votazioni, senza possibilità di replica, ci è finita di mezzo pure la Fed Cup. Su questo, però, torneremo poi. Il vero problema, probabilmente, era che stava diventando un qualcosa di difficile da gestire così come era strutturata. Essendo uno sport di squadra aveva logiche ben diverse dalla carriera del singolo giocatore. Per quanto Nadal sia un grandissimo dei giorni nostri, da solo probabilmente non avrebbe dato cinque trofei alla sua nazionale. La Spagna ha vinto, in questo decennio, perché aveva i Ferrer, i Verdasco, i Feliciano Lopez, i Marc Lopez e via dicendo. Però chi garantiva che i big potessero sempre mettersi a disposizione?
La storia della Davis racchiude vicende e personaggi che esulano dal contesto abitudinario del tour e proprio su questo fattore girava tanto della sua mitologia. Storie quantomai belle e interessanti, ma sempre più legate alla sfera del passato. Non era più scontato che un big decidesse di andare fino in Sud America, spezzando la propria stagione, per due partite che non gli portavano neppure punti al ranking ATP. Come non era più scontato intraprendere un viaggio verso l’estremo oriente. È vero che la Davis prendeva solo quattro weekend all’anno, ma si scontrava sempre più con esigenze ogni volta più importanti dei vari atleti. Dunque la competizione di una settimana, nella logica generale, poteva anche rappresentare un tentativo di salvare quanto possibile dell’evento e dargli una spinta. Non così, però.
Da quando Piqué e la sua agenzia sono sbarcati nel mondo del tennis lo scetticismo generale è stato enorme. Come può un calciatore in attività capire cosa serva realmente a questo sport? E il modo in cui ha cambiato tutto, nel giro di breve, ha dato ancor più malcontento. Nel tennis maschile si stanno scontrando tre grandi competizioni: la Coppa Davis, la ATP Cup e la Laver Cup. Gli equilibri sono precari. ATP e ITF non si amano, forse a malapena si rispettano, e dal momento in cui è nata la nuova Davis loro hanno subito reagito creando la World Tennis Cup che ha cancellato in un amen la storica Hopman Cup, l’unica esibizione veramente apprezzata e accettata nella stagione. E le due competizioni sono talmente simili che difficilmente possono coesistere. L’ATP Cup ha organizzato varie conferenze stampa per farsi conoscere, addirittura a 3 giorni dal via della Coppa Davis per presentare il proprio evento. Kosmos e ITF non hanno fatto quasi nulla se non una presenza allo US Open. Dovevano confrontarsi con la stampa, invece sono stati la figura più misteriosa e su cui nutrire scetticismi.
La settimana di Madrid ha detto che questo slot nel calendario è pessimo. Molti big hanno rinunciato per l’enorme stanchezza di fine stagione. Chi c’era ha onorato al meglio la situazione: da professionisti, sono pronti a dannarsi l’anima anche nel campetto di una periferia disastrata. L’evento è un contorno, che però ha la necessità di funzionare. Non come questa Coppa Davis, dove vengono assegnate wild-card alle nazionali “più meritevoli” (su che base?). Dove si propone un round robin che è peggio di un labirinto con i gironi a tre squadre, il peggio che si possa chiedere alla regolarità sportiva già messa sotto accusa dal fatto che una squadra può essere favorita ricevendo un walk-over a favore e vincendo la partita non giocata per 6-0 6-0. Forse il dato meno attaccabile è quello di essere arrivati a giocare fino alle 4 del mattino. Servirebbe probabilmente o una riduzione delle squadre per avere meno partite, o un quarto campo indoor, ma dove lo si può trovare?
La pioggia di critiche è stata costante da settimane prima del via. Mark Petchey, ex tennista e ora commentatore tv britannico nonché parte del team di Maria Sakkari, scriveva su Twitter rispondendo a una delle tantissime thread di critiche di personaggi importanti come il collega Sven Groeneveld, ex coach di Maria Sharapova, che Kosmos aveva rifiutato aiuti da parte dell’ITF per la gestione dell’evento. Il risultato è stato un fallimento. Partendo dal lato comunicativo, ci sono due siti web ora: uno di Coppa Davis generico, uno gestito da Kosmos per le Finals. Questo non è mai stato ben evidenziato, con scarsissima pubblicità e pochissima organizzazione. Nei giorni precedenti all’evento, quando una persona voleva cercare il calendario, doveva finire sulla pagina dei biglietti in vendita. E nella loro pubblicità non veniva segnalato alcun forfait. Per il match di apertura dell’evento tra Russia e Croazia è rimasto indicato che la seconda sfida avrebbe visto di fronte Marin Cilic e Daniil Medvedev. Il croato si era tolto 3 settimane prima, il russo durante le ATP Finals. Nell’era del digitale e del sempre aggiornati questo non è assolutamente accettabile, come i tantissimi errori e incomprensioni nella app ufficiale del torneo che sbagliava a indicare giocatori, nazionalità, punteggi e Djokovic finiva a essere un tedesco che affrontava un omonimo Djokovic della Gran Bretagna.
Piqué nella conferenza stampa canonica di fine torneo (almeno quella) ha parlato di 130.000 persone che hanno assistito alle partite. Vista la moria di tifosi, con la Gran Bretagna addirittura costretta a chiamare disperatamente via social i propri tifosi offrendosi disposta a regalare i biglietti per la semifinale contro la Spagna dopo che non era rimasta che una qualche decina di temerari per la partita contro la Germania, scendiamo nel dettaglio: 18 partite di Round Robin più quattro quarti di finale, due semifinali e una finale. A questo punto, ogni sessione del Round Robin prevedeva la vendita di tre biglietti differenti per altrettante partite. 25 diversi biglietti venduti, una media di 5.200 spettatori a partita. Gli unici momenti da tutto esaurito sono state le partite della Spagna nel girone e la finale. Simbolico il dato di martedì: il torneo ha annunciato 20.000 spettatori presenti. Più di 11.000 solo nel pomeriggio e solo per la partita della Spagna. Questo vuol dire che per le altre cinque giocate c’erano meno di 2.000 spettatori. Il tecnico della Germania ha sbottato: “Non capisco che senso ha tutto ciò, quando noi a febbraio abbiamo dovuto giocare le qualificazioni e per norma il palazzetto doveva avere almeno 4.500 posti mentre qui siamo di fronte a pochissime persone”. Minuti prima dell’inizio del torneo, addirittura erano oltre 7.000 i biglietti disponibili per Argentina-Cile e Serbia-Giappone, mentre non andava meglio per Francia-Serbia (6.500 invenduti). Scendendo sui campi secondari il numero era logicamente minore, ma la capienza dei campi era poverissima. 2900 posti per il campo 2, dove comunque per tutte le partite in programma c’erano oltre 1000 biglietti disponibili. Sui 1700 posti del campo 3, solo Gran Bretagna-Olanda aveva un 70% almeno di capienza. E in tutto ciò, la copertura tv si è rivelata scarsissima con gli Stati Uniti (uno dei bacini di utenza massimi) è rimasto a secco. Eurosport, che arriva in quasi tutte le case degli spettatori europei, trasmetteva solo in Gran Bretagna e Scandinavia.
In maniera più o meno pesante si sono espresse tantissime personalità e soprattutto molte leggende del tennis, comprese Nadal e Djokovic, e nessuna si è detta favorevole a quanto stava avvenendo. L’unico tennista di oggi, mosca bianca, ad aver cambiato registro è stato Reilly Opelka, lui addirittura scagliatosi contro l’ATP Cup definendola “patetica e ingiusta” per le modalità di gioco e perché offre punti extra che rimarranno nel ranking fino alla stagione successiva, come avviene per le ATP Finals. C’è tanta confusione: Kosmos/ITF si è detta disposta a trattare con l’ATP per una nuova soluzione, ma la realtà sembra indicare una posizione molto più debole per la scarsa unione della stessa ITF e l’ATP non si presterà mai in queste condizioni anche perché loro stessi hanno la scomoda vicenda della Laver Cup, neonato gigante grazie alla figura di Roger Federer che dal nulla ha incastrato l’esibizione subito dopo lo US Open, nel bel mezzo della stagione. I big partecipano, l’evento paga più che bene, anche sacrificando eventuali partecipazioni nel tour, e dunque l’ATP per provare a non perdere la sottile guerra di nervi ha deciso di inglobarla marginalmente, registrando i risultati ma senza dare punti per la classifica trovando, dunque, il classico brodino per tenere buona la situazione. Non c’è un vero favorito, anche se l’ATP vuole farsi forte nell’associazione con Tennis Australia, promotore di ATP Cup e Laver Cup e una delle più ricche federazioni al mondo. Per questo l’ITF non poteva commettere gli errori da principiante fatti in questa delicatissima settimana. Era sotto la lente d’ingrandimento in ogni modo possibile, ha toppato malamente fin dagli aspetti più banali come un’applicazione.
I veri vantaggi di questo format, per non voler solo guardare il lato oscuro della luna, potrebbero essere per i giocatori stessi nella possibilità di racchiudere l’impegno con la nazionale in una settimana. Sei partite, non poche, ma trovando lo spazio giusto a poco a poco potrebbe cementificarsi nel calendario. Si chiamerà sempre “Coppa Davis”, ma abbiamo già visto che è qualcosa di molto diverso. E sentendo vari addetti ai lavori presenti, al di là di un’atmosfera inesistente durante le partite (la Gran Bretagna ha addirittura regalato i propri biglietti a chiunque volesse andare a sostenerli, la Francia e il Belgio hanno visto i propri tifosi boicottare l’evento) c’era anche la sensazione che se in passato bisognava chiedere uno sforzo extra per vincere il trofeo ora sono bastati 4 set, poco più di due ore. Tutto finito, come la storia della competizione che si è scontrata coi ritmi attuali di uno sport che vuole sempre più rivolgersi al futuro, sperimentando e staccando il cordone col passato.
L’unico parere positivo piuttosto univoco avuto dalla stampa internazionale riguarda proprio la vicenda delle tante nazioni per la prima volta tutte assieme. In passato una sfida di Davis tra Russia e Serbia non avrebbe attirato l’attenzione di così tanti giornalisti se non quelli delle rispettive nazionali. Stavolta, concentrato alla Caja Magica, tutti hanno potuto assistere all’appassionante sfida che ha poi avuto risvolti molto emotivi in conferenza stampa con Viktor Troicki in lacrime a darsi la colpa per la sconfitta della squadra, tutto il team a testa bassa, Djokovic quasi incapace di parlare, il capitano Nenad Zijmonic con gli occhi lucidi a rimpiangere una generazione d’oro che probabilmente finiva quel giorno perché accanto a loro, Janko Tipsarevic, lasciava ufficialmente il tennis. Storie che normalmente potevano avere poco adito, ma che in questo caso venivano riprese da tantissimi media.
In tutto ciò per riproporre la questione del confronto tra le tre forze in ballo, pensate a questo: durante la settimana della Davis Roger Federer era in tournée in Sud America da rock star con accanto il fido scudiero Alexander Zverev, un po’ in versione Mario Repetto per Max Pezzali. Uno ha fondato la competizione che sta impedendo alla Davis di prendersi un posto migliore al sole, l’altro ha detto “no” alla Davis fin da inizio anno perché non riconosce la competizione così come è. E sono schiaffi molto pesanti presi da Piqué. Che non ha mai cercato il confronto, attaccando sprezzante lo svizzero non curante che doveva presentarsi in ben altro modo al pubblico e andare contro allo sportivo probabilmente più amato al mondo, un nuovo autogol che dal punto di vista dell’immagine non poteva permettersi.
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