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WTA Pechino: Barty risolve problemi, Kvitova si arrende. Bertens, urlo liberatorio

[1] A. Barty b. [7] P. Kvitova 4-6 6-4 6-3

Tutto fuorché banale, quello che sta facendo Ashleigh Barty nell’ultimo periodo. Se guardiamo al suo gioco, vediamo una progressiva crescita alla ricerca del miglior rendimento partita dopo partita, se guardiamo ai risultati troviamo che pur in un momento non paragonabile alla prima parte del 2019 è stata comunque capace di raggiungere tre semifinali in altrettanti tornei importanti: Cincinnati, Wuhan e ora Pechino.

Ci sono state giornate dure, momenti difficili, sconfitte pesanti e dati infelici, enfatizzati dall’avere quella piacevole spada sulla propria testa, quel mirino puntato da tutte le sue rivali. Da quasi nessuno (esagerando) a numero 1 del mondo, e la vita cambia eccome. E tutte ti fissano, e tutte ti vogliono. Non avendo mai fatto mistero della pausa volutamente presa dopo Wimbledon, per riassemblare un po’ il microcosmo attorno a lei, l’australiana è ripartita ad agosto con molte pecche e quando riusciva a prevalere c’era soprattutto la capacità sua di risolvere situazioni complicate. Tutto ciò oggi è stato fondamentale per prevalere, alla lunga, contro una Petra Kvitova che ha dominato l’incontro almeno per un set e mezzo.

Il primo quarto di finale della giornata super che attende il Premier Mandatory di Pechino ha regalato tanti spunti, tra cui quello di una Barty forse nella sua espressione migliore dell’ultimo periodo malgrado poi ci siano stati qua e là situazioni che lei stessa vorrà correggere. Oggi però, forse per la prima volta, non si è più trattato di questioni tecniche, ridotte magari a uno slice di rovescio a volte troppo lento nell’esecuzione e la palla che si spegneva inefficace a fondo rete, ma più ad argomenti tattici poi praticamente quasi capovolti a proprio favore dalla fine del secondo parziale.

La Kvitova del primo set, vinto 6-4 grazie a un break nel quinto game, era apparsa in gran forma seppur non concretamente dominante. Era padrona del campo, il dritto faceva tanto male, ma nei 10 vincenti e 10 gratuiti conclusivi c’era anche il rovescio della medaglia di una Barty troppo in balia di quello che stava succedendo. C’era poca prontezza nel fronteggiare il tennis della ceca, pochi errori ma colpi troppo leggeri e poco profondi che davano modo a Petra di colpire a piacere e decidere le sorti di ogni punto. Ha avuto, sul 2-1 0-30, l’unica vera chance per la prima ora di gara ma da lì al 4-2 Kvitova ha fatto tutto bene, tutto a livello più alto, meritando un primo set condotto in porto senza grandi affanni.

Barty era abbastanza nervosa, lo sguardo quasi seccato dal non riuscire a fare quello che aveva programmato. Colpiva e non dava seguito alla propria azione rimanendo troppo indietro rispetto alla linea di fondo campo per poter fare qualcosa. Il coach tra primo e secondo set le diceva di aumentare il ritmo del footwork per avere più prontezza di riflessi anche tra un punto e l’altro. Quando poi parliamo di giocatrici come loro, la partita non è neppure più unicamente una questione di colpi perché partono entrambe da due servizi di grande livello e possono valersi di ottimi fondamentali sebbene poi l’australiana non sfrutti un rovescio in top spin sufficientemente bilanciato a un ottimo dritto. Piano piano, però, ha cominciato a trovare fluidità e rapidità d’esecuzione e almeno al servizio si faceva valere. C’erano ancora momenti di difficoltà, perché Kvitova continuava a essere la migliore delle due e ad avere il destino nella propria racchetta, ma Barty ha cominciato a proporsi, a scambiare meglio, a perdere meno campo e trovare sufficientemente efficacia anche dal suo lato sinistro, evitando di essere travolta nella diagonale col dritto della ceca.

Sul 4-4 ha salvato due palle break servendo molto bene da sinistra, e sul 5-4 ha approfittato di qualche seconda della numero 7 del seeding per arrivare sul 15-40 e al secondo set point pescare il vero jolly della sua partita. Kvitova aveva servito molto bene esterna, tanto che Barty si era dovuta allungare per rispondere e la ceca, col serve&volley, aveva colpito molto profondo. Forse un po’ troppo centrale, ma la reattività dell’australiana per prendere la palla e alzare un bellissimo lob è stata eccezionale, premiata con una palla molto infida nei pressi della linea laterale che ha fatto perdere le misure del campo a Kvitova, che non ha rimesso la palla al di là della rete.

La reazione della ceca è stata veemente, ma quella fase finale di secondo set l’ha un po’ scomposta e malgrado un iniziale break di vantaggio a inizio della frazione decisiva non è stata in grado di difendersi adeguatamente dall’ottimo rientro di Barty, ormai pienamente nel match. Stabile con gli appoggi sulla linea di fondo, pronta a scattare, ora abile a manovrare il gioco soprattutto col dritto quando la ceca non ne approfittava. Aveva girato l’inerzia della partita che in breve si è trasformata in uno scorrere molto rapido degli eventi con le giocatrici al servizio capaci di dominare la situazione fino a quando, sul 4-3 Barty, Kvitova ha avuto un calo nell’intensità forse anticipato da due o tre circostanze precedenti in cui dopo un errore a seguito di uno scambio abbastanza lungo si era piegata su se stessa. Forse un po’ di fatica, ma in quell’ottavo game ha avuto un calo importante già partendo dal suo servizio e Barty, alla prima chance dopo 12 punti, ha colpito con un radente slice verso l’incrociato. Al servizio per il match ha avuto un po’ di problemi, facendosi prendere malamente dalla tensione e facendosi recuperare da 40-0, ma un’ottima prima le ha dato un quarto match point, poi concretizzato.

Bellissimo l’abbraccio tra le due, e non potrebbe essere altrimenti visto quanto si stimino. Barty, dopo l’ultimo loro precedente a Miami, aveva speso parole d’oro: “Petra è una straordinaria persona. Una delle migliori nel circuito WTA. Poter dividere il campo con lei è per me un onore”. Con tanti sorrisi e qualche certezza in più, Ashleigh è arrivata in semifinale anche a Pechino, la settima del suo 2019 sempre più da incorniciare. E adesso sorge anche un dubbio: e se quella pausa dopo Wimbledon che di fatto ha condizionato il suo rendimento negli ultimi due mesi sia stata pensata per arrivare al picco della forma in tempo per la finale di Fed Cup? Le priorità ci sono, verso il circuito WTA, ma poter giocare la finale dell’ultima edizione della coppa del mondo femminile prima della modifica del format, e farlo in casa con un popolo che attende questo dagli anni ’80, deve essere una spinta non da poco.

[8] K. Bertens b. [3] E. Svitolina 7-6(6) 6-2

Potremmo raccontare di questa partita soltanto riproponendo l’urlo finale di Kiki Bertens. La palla nemmeno aveva rimbalzato la prima volta e già era partita in un verso lunghissimo, fortissimo, che l’ha lasciata col volto segnato e i capelli che andavano ovunque lungo la testa.

La miglior prestazione dell’olandese da diversi mesi a questa parte è arrivata nel momento probabilmente più importante del suo 2019, rovinato dopo la sfortuna che l’ha colpita al Roland Garros. Dopo settimane intere di grandi affanni, il destino le ha servito sul piatto d’argento la chance più grande per fare uno scatto inaspettato verso le Finals di Shenzhen, lì dove avrà 620 punti da difendere e che fino a poche ore fa non aveva alcuna chance di poter fare.

Condannata a far bene a Pechino a causa dei regolamenti del ranking che la vedranno in grande difficoltà nelle prossime due settimane, Bertens ha faticato tanto contro Polona Hercog nel turno precedente e oggi invece ha completamente cambiato registro, tirando fuori una prestazione molto più coraggiosa e aggressiva contro Elina Svitolina. 7-6(6) 6-2 il punteggio finale di una partita che poteva terminare in maniera ben più netta perché il suo inizio è stato perfetto, con 10 vincenti a 1 già nei primi 4 game e con una facilità nel chiudere il punto a proprio favore che l’avevano portata poi, grazie a un delizioso lob di dritto, sul 4-1 e 15-40. Qualcosa che però abbiamo imparato a conoscere fin troppo bene in questi anni è la grande capacità di Svitolina di rimanere agganciata alle partite e rendere tutto molto complicato alle sue avversarie, lottando punto su punto anche quando tutto sembra contro di lei.

Nel momento di maggiore difficoltà del primo set l’ucraina ha saputo tirarsi su e riprendere l’avversaria, arrivando anche a palla break sul 5-5. Bertens si è salvata e nel tie-break, malgrado un vantaggio di 4-0 evaporato, alla fine ha avuto ragione lei per 8-6, approfittando anche di una seconda di servizio troppo debole della numero 3 del seeding sul set point da fronteggiare. Un set chiave, vinto, che le ha dato ancor più carica per affrontare il secondo parziale, giocato sugli stessi ritmi dei primi 6 game dell’incontro e che l’ha vista fare uno scatto decisivo dall’1-1 al 5-1, con 10 punti di fila vinti tra terzo e quinto game.

Alla fine, come detto, l’urlo potentissimo e liberatorio che ha segnato la vittoria per lei più importante dalla finale di Madrid.

Adesso è lei la numero 9 della Race, con Belinda Bencic scivolata decima e dietro di 165 punti. Se, come probabile, Serena Williams deciderà di non giocare le WTA Finals per il quinto anno consecutivo sarà lei a prendere il suo posto. E comunque, domani contro Ashleigh Barty avrà la grande chance di provare ad allungare ulteriormente la sua permanenza a Pechino e a prendersi una finale pesantissima che le darebbe ancor più respiro dopo tante settimane di vacche magre. Il tutto, ed è giusto rimarcarlo perché a oggi è stato un vero punto cruciale del suo 2019, da quel maledetto pomeriggio parigino in cui ha dovuto gettare la spugna abbandonando uno Slam in cui, in quel particolare momento, poteva addirittura vantare grandi favori del pronostico per il successo finale.

[16] C. Wozniacki b. D. Kasatkina 6-3 7-6(5)

Decima vittoria di fila a Pechino per Caroline Wozniacki, che è riuscita grazie a una nuova vittoria a contenere eventuali crolli in classifica che ora la vedrebbero comunque nei pressi delle prime 20 del mondo. E malgrado tutto, malgrado la stagione pessima fin qui, la danese ha trovato il modo di arrampicarsi fino alla semifinale lì dove contava di più: dove difendeva il titolo.

Dieci partite e zero set persi in uno score fatto di tante soddisfazioni compresa la partita di oggi contro Daria Kasatkina, avversaria per lei mai banale e capace di batterla tre volte su quattro in carriera. Adesso però la russa non è in una fase estremamente brillante seppure proprio qui abbia trovato alcune delle prestazioni più belle fin qui del 2019. Il servizio però, che già tradizionalmente non è mai una soluzione che può darle vantaggio, non le ha mai dato modo di avere momenti tranquilli nel match odierno e questa scarsa fiducia ha pagato quando si è trovata a servire per portare la sfida al terzo.

Un 6-3 7-6(5) arrivato tra le montagne russe di una infinita sfida a scacchi in cui Kasatkina normalmente dovrebbe farla da padrona perché dotata di un’intelligenza tattica superiore e di un tennis più articolato, ma dall’altra parte della rete Wozniacki si è fatta forte di quelli che sono i suoi pregi, i suoi punti di appoggio in questo momento della carriera molto particolare. Estro contro solidità, dunque, in un match venuto fuori molto appassionante anche se Kasatkina appariva più in affanno. Ha avuto per due volte un break di vantaggio in entrambi i set, ma nel primo ha finito per cedere il servizio tre volte di fila: sul 2-1, sul 3-2 e sul 3-4. Nel secondo ha fatto di più, ha giocato in maniera più aggressiva e non colpendo in ritardo e col peso del corpo che va verso l’indietro, ma sia sul 3-0 che poi sul 5-3 non ha mai veramente capitalizzato dando modo alla danese non solo di rientrare ma di cancellare anche un set point, sul 5-6.

Al tie-break l’ex numero 1 del mondo è salita 6-1 salvo farsi prendere da un’inattesa tensione e far avvicinare la russa fino al 6-5, facendola anche esaltare per qualche scambio di grande livello portato a casa. Dopo aver perso tutti i tre mini-break, però, ha comunque affondato il colpo, in risposta, al quinto match point e potendo gioire per un risultato per nulla scontato alla vigilia, reso forse più “agevole” dalle varie defezioni ma che dopo un’annata così dura e i tanti problemi fisici tra cui la sua malattia autoimmune deve essere considerato un ottimo risultato.

Diego Barbiani

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Diego Barbiani

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