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E la chiamano estate

Dopo la pausa estiva, buona per far guadagnare qualche titolo di giornale a bravi ragazzi di incerto talento e a far finta che le federazioni lavorino, tra meno di una settimana parte il terzo scorcio di stagione, che si chiude con lo US Open e promette di essere più interessante dei primi due. Tradizionalmente è un momento durissimo, perché il cemento nordamericano è spesso torrido e perché i giocatori arrivano già abbastanza provati dall’accoppiata terra rossa/erba, visto che le tre settimane di recupero tra la finale di Wimbledon e l’esordio in Canada non sono tantissime. È in ques’ottica che va inquadrata la scelta di Federer, ormai 37enne, che rientrerà solo a Cincinnati e che userà il torneo per prepararsi ad uno dei suoi nuovi obiettivi, la riconquista di New York a 10 anni di distanza dall’ultima volta. A questo punto è forse il più difficile, perché il margine che Federer continua ad avere sull’erba, nonostante l’incredibile Wimbledon buttato via lo scorso luglio, sul cemento si assottiglia ogni giorno che passa, e Melbourne appare già molto lontana. Per quanto in questi ultimi due anni abbiamo assistito con un certo stupore all’assottigliamento, se non proprio alla scomparsa, di tennisti competitivi, i Fab4 non esistono più da un bel pezzo e i due rivali più accreditati, Wawrinka e del Potro, sono o sulla via dell’inesoarbile declino oppure in bilico tra la grande giornata e il disastro. In particolare del Potro, che non è poi così vecchio, continua ad avere una condizione fisica del tutto insoddisfacente per uno sportivo di quel livello, e il fatto che sia nella top5, insieme ad Anderson…, descrive meglio di tante parole a che punto è il tennis contemporaneo.

Ma inutile stracciarsi le vesti, questo passa il convento e questo tocca sorbirci. Le US Open series, come vengono chiamati i tornei che precedono lo US Open, sono fra l’altro già cominciate la settimana scorsa, con John Isner che ha vinto il torneo di Atlanta sconfiggendo Ryan Harrison in finale. Questa settimana c’è il ritorno in campo di Andy Murray e Stan Wawrinka, col britannico che ha vinto la prima partita patendo le pene dell’inferno contro Malcom McDonald e che non pare possa essere pronto per essere annoverato tra i favoriti. Questa settimana giocano in molti, assenti, oltre a Federer, anche Nadal, che avrà già cominciato la preparazione per la terra rossa 2019 e se nel frattempo trova un torneo con nessun top20 in tabellone magari decide di vincerlo. Ma pure Dimitrov, Cilic, Anderson e Djokovic si sono presi il loro tempo, torneranno a Toronto, e tra di loro ci sarà il vincitore del sesto “1000” della stagione, perché tutti ormai, tra i primi dieci, possono vincere. Fuori dal gruppetto come sempre è il solo Kyrgios che continua a mostrare una straripante superiorità e contemporaneamente a perdere e ritirarsi. Meno spazio per Nishikori, che sta faticosamente provando a risalire, mentre per tutti gli altri, come sempre, è un po’ presto. A questo punto pagheremmo di tasca nostra, si fa per dire, per vedere uno tra Shapovalov, Tsitsipas o Tiafoe almeno in semifinale, pronti, chissà, a fare quello che ha fatto Chung a Melbourne, magari senza vesciche.

Purtroppo la verità è che questa lunga fase di transizione non accenna a finire, ed è quasi il caso di provare a immaginare un inserimeno a sorpresa magari di Berrettini più che di Cecchinato, che aspetta ancora di vincere il suo primo incontro sul cemento, ci proverà a Toronto. Ma c’è già troppa gente che sogna ad occhi aperti e molti altri che fingono, inutile aggiungersi al coro.

Roberto Salerno

Nato a Palermo, ho scritto un paio di racconti, vari saggi, circa 700 articoli di tennis, ma vado fiero solo di qualche flash, di una in particolare. Sono stato inviato non è tutto questo granché. "è favorevole ad un discorso democratico, in cui tutti parlano e poi lui spiega i motivi per cui gli altri hanno torto"

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Roberto Salerno
Tags: ATP 2018

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