C’è stato il “Sister Act” numero 29 e l’ha vinto Venus Williams, che ha battuto la sorella Serena 6-3 6-4. Se la partita, al di là di un sussulto finale della neo-mamma Serena, ha avuto poco da raccontare, è sempre emozionante vedere, comprendere e leggere tutto il contorno che le circonda.
Come forse mai prima, era palpitante l’attesa per una sfida che da queste parti non può definirsi uguale alle altre. In una rivalità che ha fatto la storia degli ultimi 20 anni del tennis moderno, e che sta trascinando una comunità intera, gli afroamericani, Indian Wells era forse l’ultimo scoglio delle avversioni che reggeva. La pace fu stipulata formalmente nel 2015, quando un video-messaggio di Serena annunciava la fine dello storico boicottaggio intrapreso nel 2001, quando lei venne pesantemente fischiata e papà Richard accusato di aver manipolato la semifinale: Venus si ritirò pochi minuti prima e Serena, il giorno dopo, venne pesantemente fischiata lungo tutta la finale contro Kim Cljisters. La questione sfociò in ideologie razziste e da lì in poi questa località della Coachella Valley non ospitò più le sorelle più vincenti del tennis a stelle e strisce per i successivi 14 e 15 anni. Eppure serviva lo step finale: una sfida tra le Sisters.
Questa partita, attesa 17 anni, potrebbe aver lasciato l’amaro in bocca a tanti appassionati per come sia filata via per lunghi tratti senza grandi momenti di spettacolo: né Venus, né tantomeno Serena, sono in un ottimo momento di forma. Eppure, almeno al pubblico qui presente, è sembrato che abbia percepito bene cosa ci fosse dietro a un dritto messo abbondantemente largo o a una palla che moriva a metà rete. Il 2018 della numero 8 del seeding è stato tutto fuorché convincente, mentre dall’altra parte c’era una giocatrice addirittura senza classifica, rientrata da una gravidanza che si è scoperto essere più che complicata e con tutto il fisico e il gioco da ricostruire. Una a quasi 38 anni, l’altra che ne farà 37 a settembre, eppure girando per l’impianto dell’Indian Wells Tennis Garden è sembrato di assaporare l’odore della festa: c’era voglia di riabbracciare, metaforicamente, due grandi campionesse che hanno trainato a lungo il tennis nord-americano. Prima e seconda, chi di loro non importava: sempre una Williams, sempre una ragazza di colore, contro tutti i pregiudizi e i mugugni di uno sport che non poteva accoglierle a braccia aperte. Questo nonostante le grandi conquiste di Althea Gibson, ormai 60 anni fa. Il tennis, in ogni caso, rimane per tradizione uno sport per ricchi e nel corso della storia i ricchi sono tradizionalmente stati i bianchi. Althea fu la prima afroamericana a fare la storia, tra gli anni ’50 e ’60, diventando la prima afroamericana a vincere Parigi e a essere ammessa allo US Open (1950) quando fino all’anno precedente competeva nel torneo dedicato alle donne di colore. Dopo di lei, però, è forse impossibile trovare un’altra afroamericana che ha avuto questo impatto, questo prima dell’avvento delle Williams.
Vent’anni fa non era immaginabile arrivare nel 2018 a raccontare con questa enfasi del ventinovesimo confronto tra due giocatrici che, come carattere distintivo, hanno la pelle scura e provengono da una famiglia di origine povera, che ha vissuto nel sobborgo più malfamato (Compton) degli interi Stati Uniti. Tutto il contrario di quello che la mente, e la logica, vorrebbero. Figuratevi a raccontare di due giocatrici, sorelle tra loro, destinate a diventare entrambe leggende di questo sport. Serena e Venus hanno continuato il percorso di Althea, combattendo l’una al fianco dell’altra contro i pregiudizi di una società che ancora oggi inciampa spesso negli stessi errori che vorrebbe, almeno a parole, condannare.
Anche per questo all’ingresso in campo tutto il pubblico è scattato in piedi, urlando e applaudendo, facendo salire le emozioni a picchi molto alti. Non si trattava di una semplice partita di tennis, ma si stava andando incontro alla storia: dopo 17 anni Indian Wells ha avuto la sua partita, il suo Sister Act. Forse quelle che si sono divertite meno erano proprio loro, costrette a giocare l’una contro l’altra ben sapendo che l’altra è la rispettiva sorella e, in fondo, bisogna batterla, farla vivere male in campo. L’affetto in questi casi andrebbe messo da parte, ma come è possibile riuscirci? Si guardano negli occhi, si rivedono quando da piccole si allenavano con papà Richard e scappano a nascondersi non appena udivano sparatorie nei dintorni del campetto di periferia, rovinato e quasi inagibile, ma che non ha fermato i loro sogni. Questa vittoria è di Venus, ma questa notte è di entrambe.
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