Lo aspettavamo da 9 anni, del Potro. Da due polsi e varie operazioni. Nel mezzo tanti ritorni, tante nuove pause, paure, fretta, qualche torneo vinto, una Davis conquistata; ma sempre davanti quella voglia di tornare nell’Olimpo che molti avevano pronosticato dopo quel lontano US Open vinto al quinto contro il Re, e quella sensazione che ogni volta poteva arrivare qualcosa a spingerti di nuovo nel baratro.
Tutti, dopo quell’estate 2009, predicevano a Del Potro un futuro tra i grandi, a contendere ai Djokovic e ai Murray il Trono di Racchette del “dopo Fedal”. Purtroppo il giovane Gian Martino non aveva fatto i conti con la sfortuna. Gli altri si prendevano gli slam, la fama e la gloria, mentre l’argentino ogni volta che faceva capolino sul circuito, tra le speranze di tutti, veniva risbattuto a terra inesorabilmente dalla sfiga.
Nel frattempo passavano i Djokovic e passavano anche i Murray, eppure quelli che ne prendevano il posto non erano i Dimitrov, i Raonic o gli Zverev, bensì la vecchia guardia, come a dire che i nuovi arrivati non valessero la tempra della passata generazione, a cui lui del resto appartiene. Sembrava che il destino aspettasse, o che il tennis avesse bisogno non solo di uno con le palle cubiche, ma di qualcuno che sappia cosa vuol dire dare tutto per un obbiettivo e dedicarcisi ogni giorno, senza mollare, anche se questo ti può costare non due ma quattro polsi. Un vero Numero Uno.
Non ci credeva quasi più nessuno che quella casella di tornei importanti vinti ferma a 1 potesse essere aggiornata. E invece ancora una volta, come la fenicie, Del Potro si è ributtato anima e corpo nel tennis, a dimostrare di poter di nuovo battere quella sfortuna che tanto gli si è accanita contro in passato. E finalmente è arrivato a sollevare il suo primo Master1000, e a convincere finalmente se stesso che ora quello che tutti prevedevano tanti anni fa forse è davvero raggiungibile.
Per lungo tempo ormai ci siamo chiesti cosa ci attenda dopo i Federer e i Nadal e chi ne possa raccogliere la nuova eredità, guardando con preoccupazione a un ranking che, diciamocela tutta, piange da ogni parte lo si osservi. Da un lato i Dimitrov, gli Zverev e i Kyrgios a chiedersi come tante prime donne se vogliano davvero fare i tennisti o i modelli surfisti. Dall’altro i Raonic e i Nishikori che passano più tempo in infermeria del Dottor House. O i Thiem che fanno il compitino ma sono soporiferi come il Valium alle 4 di notte. Per non parlare dei vecchi tiranni serbo-scozzesi, che ancora non capiscono se il tennis sia diventato un passatempo.
Da ieri una nuova luce ha illuminato il circuito. E questo “tentennone” argentino può essere davvero colui che ci potrà risparmiare tanti tornei sonnolenti in futuro, regalando al mondo un vero nuovo numero uno del tennis. Perché ne ha il carattere in campo, lui che, malgrado quel ciondolare tra un punto e l’altro, dà tutto se stesso in ogni punto e ha ancora adesso la forza di migliorarsi e di sacrificarsi giorno per giorno. Perché è l’unico tra i non Fab4 ad avere veramente un colpo assassino di una bellezza abbacinante, capace di ribaltare partite ormai perse; un colpo che al contrario di altri va troppe volte troppo forte e troppo a segno per pensare che sia solo giocato a occhi chiusi. Perché sa fare praticamente tutto, si muove dappertutto e non è il solito Medioman incatenato a fondo campo che aspetta lo svenimento dell’avversario. Perché non è una prima donna: lui, anti-personaggio per antonomasia, gigante buono che borbotta col suo vocione basso nelle conferenze come se fosse appena sceso dal letto. Perché tutti lo adorano, a cominciare dai colleghi per finire alle folle, che lo acclamano come eroe risorto da tante tempeste; lui, unico a fare match pari con Federer ovunque anche sugli spalti, malgrado abbia vinto 1/20 dello svizzero. Perché la gente sa, capisce, sente quando una corrente sta cambiando e sa chi seguire quando il vento comincia a soffiare altrove.
Per adesso il mondo cerca di tenersi ancora stretti i Roger e i Rafa. Ma il futuro del trono, da domenica, forse è lì a portata di un Hodor con un martello al posto del braccio. Lo dicevamo 9 anni fa, lo riscriviamo ora. Verrà un nuovo numero uno e avrà il dritto di Juan Martín Del Potro. E che lassù ce ne preservino i polsi.
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