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Federer, Uno

Ci sarebbero tante chiacchiere da fare.
Tanti numeri da analizzare, tante cose da raccontare.
D’altronde sono passati quattordici anni. Quattordici sono un bel pezzo di vita. Un pezzo di vita di ogni appassionato che ha organizzato giornate, mesi, anni per guardarsi le sue partite, le sue vittorie, le sue (poche) sconfitte. Quattordici anni di chi ha guardato distrattamente o con freddezza ma che ha comunque dovuto ammettere, anno dopo anno, che forse qualcosa così non s’è mai vista su un campo da tennis.
Quattordici anni fa Federer diventava numero uno per la prima volta in carriera. “Numero uno o niente”, lo pensava fin da quando a Ecublens, nella scuola svizzera di tennis, lo scriveva nei temi.
Sono passati cinque anni dall’ultima volta. Da quello stop a 302, un record che già così sembrava ineguagliabile; a superarlo ci pensa lui, a 36 anni e 195 giorni, che ormai si contano anche le ore per spiegarci uno stupore che non ha senso, non trova ragione nel mondo reale nel quale siamo abituati a muoverci.

Ma qui finisce quanto di disumano c’è in Federer: i record, le vittorie, le rinascite, il dritto in controbalzo, un passante di solo polso. Qui si ferma l’alieno e inizia l’umano che ha fatto innamorare tutto il mondo: quello che si figura scene apocalittiche durante i match, che si maledice e spreca palle break, che sente ancora la tensione dopo quasi vent’anni di professionismo e una carriera ineguagliabile per un match contro Kohlschreiber o Haase a Rotterdam, che vede i mostri dietro l’angolo e ha paura. Paura non di vincere, quella mai, paura di perdere quello per cui lui sa, ha sempre saputo, essere destinato.
L’amore che Roger ha tirato fuori da ogni parte del globo ha profonde radici in questo contrasto bellissimo tra la paura di non farcela e la mostruosa capacità di farlo: Federer ha realizzato tutti i suoi sogni ma è rimasto comunque un sognatore; li ha visti crescere e diventare più grandi di lui ma non ha accettato di perderli mai.

E oggi che piange e si commuove davanti a un pubblico olandese che fino a due settimane fa non sperava di trovarselo lì, mostra tutto l’umano che c’è in lui, per una volta sudato, ormai sempre più stempiato, con la voce tremante quando parla dei figli e della moglie, con quel sorriso sincero di chi sa ma si meraviglia ancora.
Noi non finiremo mai di farlo.

Rossana Capobianco

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Rossana Capobianco

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