Maria Sharapova è ormai prossima al secondo rientro del suo 2017. Dopo i 15 mesi di squalifica, i due dovuti ad uno strappo muscolare, ma ora sembra tutto pronto per rivederla in campo a Stanford, in California. La tennista russa ha giocato l’ultimo match aa Roma, quando fu costretta a ritirarsi contro Mirjana Lucic Baroni e proprio la capitale italiana è uno dei temi trattati in una lunga lettera scritta per il sito “The players tribute” che si intitola: “Into the unknown” (“Verso l’ignoto”). Abbiamo voluto riprendere le parti più importanti, cercando di tagliare il meno possibile per non rovinare quello che la russa aveva da raccontare.
Il rientro a Stoccarda e la chiacchierata con la mamma
Poco prima del primo match dopo la sospensione, mi è sembrato che chiunque nella vita volesse solo una cosa: sapere come mi sarei sentita in quel momento. Che fosse un amico, un parente o un giornalista, questa era la domanda che più mi sentivo ripetere. E la mia risposta era sempre la stessa: non ho idea.
Era la verità. Mi sarei sentita nervosa? Emozionata? Fiduciosa? Cauta? Felice? Triste? Amata? Odiata? Sollevata? Impaurita? Descrivere una sensazione da una parte è facilissimo, ma dall’altra sapevo che era qualcosa di mai provato prima. Era come se tutte le emozioni del mondo, ognuna di loro, potesse essere su quelle tribune a Stoccarda quando sono entrata per la prima volta in campo dopo 15 mesi di lontananza dal tennis.
All’inizio volevo prepararmi a tutto questo. Pensavo a come la gente avrebbe reagito, come io avrei reagito. Presto però ho realizzato che ogni tentativo sarebbe stato inutile. Per quanto io potessi prepararmi ad un genere di reazione, non c’era verso per prevedere cosa sarebbe accaduto. Ho cercato di immaginare ogni scenario nella mia mente, per il resto non avevo scelta: dovevo entrare in campo e prendere un bel respiro, affrontare i miei timori. Mi sentivo come se stessi andando incontro all’ignoto.
La notte prima del mio rientro in campo, in aprile, stavo parlando con mia mamma. Lei viaggia spesso con me, ma non viene mai a vedere le mie partite. Davvero, mia mamma sarà stata presente a 3 partite in 10 anni. Non è per scaramanzia, credo però che l’atmosfera, la player lounge, l’attesa… non siano per lei. Quella sera, in ogni caso, stavo chiacchierando con lei come fa una figlia con una mamma. Eravamo quasi alla fine, ero pronta a tornare in hotel quando dal nulla le ho chiesto: “Vuoi venire alla mia partita domani?” Non ero sicura di quello che facevo. È stato uno di quei momenti in cui non sai bene cosa stai per dire fin quando non lo pronunci, e che mai avresti pensato di dire fino al momento in cui lo fai. Mia mamma ha preso qualche secondo, poi mi ha guardato e detto: “Sai cosa? Va bene”.
Perfetto. In quel piccolo momento, con quel piccolo dettaglio, ho capito quanto tutto ciò fosse realmente importante per me. […] Ho detto buonanotte a mia mamma, e che ci saremmo riviste il giorno dopo. Ho dormito molto più tranquilla rispetto a tante altre volte in passato.
L’ALONE DI MISTERO
Lo ammetto: mi piace essere accompagnata da un alone di mistero. Non sono mai stata una che vuole essere conosciuta da chiunque, o amata da chiunque, o anche solo capita da chiunque. Alle volte mi chiedo, con spirito critico, se questo fa di me una persona antica. Una cosa che ho notato, recentemente, nello spogliatoio, è come quasi tutti hanno le stesse abitudini post-match. Escono dal campo, entrano nello spogliatoio e immediatamente – proprio prima che possano anche cambiarsi o farsi una doccia – controllano su Twitter le frasi dove vengono menzionati. È qualcosa che ho cominciato a notare qualche anno fa e che mi ha davvero colpito. Qui c’è una sorta di strumento che ti giudica e tutti sembrano dipendenti da questo. Magari sono io che sbaglio, magari è magnifico, ma è qualcosa che non è mai stato mio. Desidero davvero che le persone twittino su di me? O parlino di me? O si interessino a me? O vengano a vedermi?
Non mentirò: ho lavorato duramente per essere dove sono […] Non ho mai voluto una vita giocata sul campo 18. Il campo centrale è per me un posto dove sentirmi a casa. Ma allo stesso tempo, c’è differenza tra attenzione e riconoscimento.
AMMIRAZIONE E RISPETTO PER CHIUNQUE
Una cosa che ho notato è che alle volte c’è una sovrapposizione tra persone che vedono in te un alone di mistero e altre che ti vedono come invulnerabile. Ci ho pensato parecchio: la verità è che io mi sento vulnerabile in ogni circostanza, senza differenza rispetto alla persona che ho di fronte. I muri che ho costruito attorno a me… Loro non sono così impenetrabili come le persone credono. Le cose passano comunque, e ancora continuano a farmi sentire in un certo modo. […]
Ad esempio, non sono all’oscuro di tutto. Sono consapevole di quello che molti dei miei colleghi hanno detto a mio riguardo, e come siano stati critici verso di me nelle conferenze stampa. Se tu sei un essere umano con un cuore, ecco… non credo che queste cose possano essere ignorate per sempre. Non penso che non arrivino a colpirti.
Allo stesso tempo però ho sempre provato ad avere un atteggiamento generoso verso le critiche. […] Ho voluto rispondere mostrando contegno, qualcosa che ho imparato da mia madre, una delle più eleganti persone che conosca. […] Anche qui, non è stato facile. Credetemi, la via più agevole sarebbe stata l’opposta. Sarebbe stato molto più semplice per me andare in conferenza stampa, sedermi, e rispondere alle domande a proposito delle critiche ricevute dai miei colleghi. Criticare, colpire, tirare un gancio indietro (espressione della boxe, ndt), gettarli nel fango. E poi competitiva come sono… voglio dire, santo cielo: molte persone non sanno questo di me, ma io sono una patita della boxe. […] Il mio momento preferito sarebbe sempre lo stesso: la maniera in cui entri sul ring. Mi è sempre sembrato un momento così calmo, e allo stesso tempo così intenso. Ritmo e maestosità. E in queste conferenze stampa sarebbe semplice pensare di immergermi e scivolare sotto le corde ed entrare nel ring per combattere, danzare, ricevere un po’ di ganci, darne altrettanti, e poi dire “basta”. Semplicemente, tutto questo non mi interessa. […] Alla fine, nel mio cuore, confesso che provo davvero tanto rispetto e ammirazione per chiunque nel circuito, anche per chi mi ha criticato. E spero anche che queste persone possano cambiare la loro idea e provare lo stesso per me.
I FAN E LE BANDIERE
C’è inoltre un altro punto di vista della vulnerabilità che ho sperimentato nei mesi fuori dal circuito: quella verso i miei fan. […] Lì ho veramente capito cosa voi rappresentiate per me, non solo come idea, ma proprio ad un livello più alto. Ad un livello umano. E quando io dico “livello umano” io intendo un concetto di fedeltà. Per me, la fedeltà è una delle più potenti qualità che ci siano. Quando si tratta di relazioni, la fedeltà può essere tutto. […] Molte persone sono con te quando sei al top, ma poi ti abbandonano quando le situazioni cambiano. […] Le persone che più mi sono state vicino in questi ultimi mesi, sono sincera, sono state proprio i miei fan. Quando la notizia è uscita, loro sono rimasti con me. Quando mi hanno condannata, loro sono rimasti con me. Quando ero sospesa, loro sono rimasti con me. Quando sono rientrata in campo… Davvero, non lo dimenticherò mai.
Nel mio primo torneo, il giorno del mio esordio, sono andata ad allenarmi su uno dei campi secondari. Niente più che 25 minuti di palleggio. Non so davvero che dire, sono stata veramente colpita. Velocemente, quando mi hanno vista arrivare, un gruppo di fan è corso attorno al campo per vedere l’allenamento. Avevano bandiere della Russia e c’erano le scritte “WELCOME BACK MARIA” e continuavano ad applaudirmi, urlare, per tutto il tempo. Normalmente durante l’allenamento sono concentrata solo sul gioco, ma in quel momento ammetto che mi sono sciolta. La semplice idea che mi avessero scelto rispetto a tanti altri e fossero rimasti con me dopo tutto quello che ho vissuto, e riuscire a fare quelle scritte sulle bandiere, volare a Stoccarda per vedermi su un campo di allenamento e supportarmi senza sosta… Improvvisamente ho avvertito qualcosa che non avevo mai provato. […] Ora sento che è il mio turno di ridare tutto ciò a loro. Se c’è qualcosa che voglio ottenere in questa seconda fase della mia carriera è essere una giocatrice ed una persona modello per questo gruppo di fan e per tutti quelli che sono sempre stati leali con me.
LA GIOIA E IL DOLORE ALL’OMBRA DEL COLOSSEO
È divertente come le cose possano cambiare. Penso che le persone probabilmente hanno un’idea su di me, credono che io sia una che ha tutto e che per rendermi felice bisogna che accada qualcosa di speciale. Ebbene, vi dirò questo momento recente nella mia vita in cui mi sono veramente sentita felice: un paio di mesi fa, una mattina di metà maggio, stavo giocando a Roma e avevo vinto il mio primo turno. Era il terzo torneo dal mio rientro e stavo cominciando a ritrovare fiducia. Guardando all’indietro, forse è stato un errore giocare tre tornei di fila dopo 15 mesi di stop – senza “forse”, mi sarei dovuta dire: “Maria, ma che credevi di fare?” – ma ero troppo felice di essere rientrata. Siete mai stati svegli tutta la notte perché state facendo qualcosa di divertente e non volete andare a letto? Così era come mi sentivo a giocare 3 tornei di fila e dopo il primo turno era tutto perfetto. Il secondo era un match serale, un prime-time in stile italiano: alle 19:30. Ho potuto godermi quella mattina un po’ di più, svegliandomi un po’ più tardi del solito e facendo colazione in hotel. La mia stanza aveva una vista spettacolare e da questa collina vedevo tutta la città. Il Vaticano, il Colosseo… Mi sembrava quasi di poterli toccare. Il tempo era bellissimo, maggio in Italia. Gli uccelli cinguettavano e per concludere: alle 19 avrebbero deciso sulla wild-card per Parigi. Ero molto fiduciosa, tanto che avevo reso quella mattina molto meglio delle altre. Non è che ci fosse tanta differenza rispetto alla solita routine: ti svegli in una città straniera, fai colazione e ti prepari per l’allenamento. Eppure la sentivo speciale, come se non l’avessi mai fatto negli ultimi 15 anni, come se fosse la prima volta: elettrizzata dall’essere in hotel, orgogliosa di essere al secondo turno, piena di aspettative sulla wild-card. […] Poi improvvisamente è crollato tutto.
Quando il giorno finì avevo perso il mio match, mi ero ritirata a causa di un infortunio. Ero fuori da Roma, fuori dal Roland Garros e – ancora senza saperlo – ero fuori da Wimbledon. L’unica cosa in cui ero dentro era una macchina per le lastre che ha scoperto uno strappo di terzo grado. Divertente come le cose vadano nella vita, vero? Non vi mentirò: quella sera stavo veramente male. […] E così mi sono sentita per un po’. Ma alla fine, penso, mi sono anche sentita bene. Non per l’infortunio, ma per quello che è venuto dopo. Ho riscoperto qualcosa a proposito di me stessa: la sensazione di non sapere cosa potrà accadere.
[…] Se tu ami abbastanza il tennis, allora alla fine lui ti amerà allo stesso modo. Sebbene gli ultimi due anni siano stati molto molto complicati, la mia passione per il gioco non è mai venuta a meno. Semmai, è solo diventata più forte.
L’UNICA CERTEZZA DEL TENNIS
Sono pronta per la stagione nordamericana, una delle mie preferite. Giocherò Stanford, Toronto e darò il 100% che avrò. Vedremo cosa accadrà: vincerò qualche partita, perderò qualche partita. Chi può saperlo? Quando si tratta di tennis, bene o male, c’è solo una cosa che io so per certo: quanto mi sia mancato.
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