Church Road all’orizzonte, signori. Finalmente.
Possiamo raccontarcela come vogliamo ma le due settimane venture sono l’ombelico del tennis, il punto d’appoggio dal quale sollevare il mondo della racchetta.
Sì, sollevare. Perché diciamocela tutta, sarebbe ora di cambiare, di guardare oltre.
Questo torneo è spesso stato una porta sul futuro del tennis, il McEnroe del 1977 che arriva in semi dalle qualificazioni, Becker campione senza ancora la patente nel 1985, un vulgaris Federer vittorioso al quinto contro sua erbivorità Sampras sono solo i più recenti.
Quindi Re Roger, Rafa dei mille Roland Garros e i loro scudieri Nole e Sir Andy, una vita passata a rincorrere solo per capire che non ce la potevano fare, ci scuseranno se umilmente desideriamo qualcosa di diverso.
Eresia? Noi preferiamo chiamarla speranza. Speranza che il gioco vada finalmente oltre loro, che il nuovo che avanza lo faccia veramente senza contentarsi di un’inutile vittoria nei turni preliminari di un torneo finto grande – vero Thiem? – o di un trionfo seguito da una debacle contro Verdasco – vero Sascha? Su quest’ultimo fatto riportiamo un ricordo di Borg. L’orso ha raccontato che quando batté per la prima volta Mac a Richmond 1979 quest’ultimo in conferenza stampa si sedette con la testa fra le mani per la rabbia e “un’ora dopo era ancora lì, nella stessa posizione”. Zverev dopo la sconfitta al Rolando ha dichiarato placido che son cose che capitano.
Come nella Settimana Enigmistica, a voi trovare le differenze.
Dal 2003 l’erba di Londra è una multiproprietà della banda dei quattro, ma non è sempre stato così. C’era un tempo, neanche troppo lontano, nel quale coraggiosi outsider seppero far rotolare teste di re su quel tappeto verde. È il caso del bulldog della rete Pat Cash, capace nel 1987 di spegnere definitivamente il sogno di Ivan Lendl, oppure dell’airone Michael Stich che quattro anni dopo sottrasse con destrezza e merito la quarta corona al suo sovrano Boris. Richard Krajicek, talentuoso e rilassato come solo un olandese può essere, nell’estate 1996 liquidò tre set a zero nei quarti un Sampras all’apice della carriera per poi alzare la coppa e sparire. E che dire di Goran Ivanisevic? Lui e il suo servizio si sono sempre creduti i più forti e questo lo ha aiutato molto a vincere il torneo nel 2001 da numero 125 del mondo. Considerate che, eccettuato il caso limite di Goran, all’inizio di quelle cavalcate vincenti il solo Stich era un top ten, settimo per la precisione.
E allora bando alle ciance, come ama dire Paperon dé Paperoni, scopriamo le carte.
Nessuno dei fantastici quattro alzerà la coppa. Ma se non loro chi?
A noi piacerebbe Nick Kyrgios. Se la smette di lottare contro un futuro da predestinato e infila due settimane giuste ce la può fare alla grande. Quando ha voglia di giocare è lui il migliore dei pretendenti, e anche di gran lunga. Andatevi a rivedere la semifinale di Miami prima di scandalizzarvi. L’australiano ha tutto. Fisico, creatività con la racchetta, faccia tosta da campione e amore per la sfida. Oltre al miglior servizio del circuito. Anche lui ha scelto Wimbledon per rivelarsi al mondo nel 2014 ed è molto probabile che nelle complesse circonvoluzioni del suo cervello questo sia l’unico torneo che merita la sua attenzione.
E quanto ci piacerebbe poi vedere qualcuno che ce la fa “alla vecchia maniera”, secondo le parole di Supermac. Ma a ben guardare dove sono?
Setacciando la classifica mondiale, fra miriadi di cloni muscolati del mantra servizio e dritto, ci accorgiamo che gli artisti dell’attacco sono diventati rari e preziosi come l’acqua nel Sahara. Ma non si sa mai e allora puntiamo volentieri una ghinea su Gilles Muller e Zverev il vecchio, entrambi mancini da serve and volley in via di estinzione. E mezza su Feliciano Lopez, non foss’altro che per la vittoria al Queen’s.
Una volta la vecchia maniera era l’unica per farcela sul Centre Court, ma non è più così.
Che tristezza.
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