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Destinazione Halle: il viaggio infinito, lo slice di Federer

Le quattro e mezza di mattina rappresentano il momento ideale per ritrovarsi sul comodo sedile di un taxi. La città ancora addormentata si percorre con tale facilità da chiedersi come faccia ad essere realmente trafficata ad orari più umani. Già, perché gli umani nel frattempo dormono, ma tu e il fido tassista siete svegli, chiacchierando con la semplicità di chi non si rivedrà mai più. Inizia così la traversata che ti porterà ad Halle, dove verosimilmente incrocerai Roger Federer, perché sai bene che Halle Westfalen nel giro di qualche anno potrebbe cambiar nome in Basel Bis. Hai detto traversata poiché non puoi davvero chiamare in altro modo una sequenza che ti vede salire nell’ordine, su un treno, una metro, un taxi, un aereo, un altro aereo, un autobus, di nuovo un autobus e infine ancora un treno. D’altronde hai avuto davvero poca scelta, trattandosi di un minuscolo paesino senza nemmeno l’idea di un aeroporto. È talmente piccolo che potrebbe essere quello da cui provieni, ma la Roger Federer Alle, strada dedicata allo svizzero, davvero non ti dà la possibilità di sbagliare. La gente ti ha detto che sei mediamente fuori di testa ad aver programmato tutto ciò, un excursus alla scoperta dei peggiori mezzi di trasporto tra Italia e Germania, ma ormai sei quasi arrivato. 
Sfortunate combinazioni non ti permettono di raggiungere i campi per i quarti di finale, ma non fai neanche troppi drammi: Roberto Bautista Agut, ma sopratutto Sascha Zverev non ti fanno esattamente fare i salti di gioia.

Il giorno dopo non hai intoppi, nulla può scalfirti eccetto uno stuart che trova estremamente complicato comprendere che un accredito in pdf vale esattamente quanto uno cartaceo. Sei costretto a metterti temporaneamente in fila, in attesa che l’acuto kee-way giallo fosforescente si distragga, per poter partire a passo svelto verso l’angolo accrediti. Ti guardi intorno e vedi fiumi di tedeschi a maniche corte, mentre cominci a realizzare di avere indosso il giubbotto di pelle e ne hai ragione, visto il vento freddo che soffia. Incroci anche altri italiani, olandesi e perfino canadesi, semplice concretizzazione del potere del richiamo di Roger Federer. 
Finalmente sei dentro e ti ritrovi in una sala stampa davvero sconfinata in relazione alla gente che c’è dentro. Cartoncini con scritti i nomi di giornali tedeschi sono attaccati ai tavoli vuoti, mentre fai davvero fatica a capire come possano esserlo. In appena dieci minuti scenderà in campo Federer e la tribuna stampa è frequentata solo da pochi intimi. Ad ogni modo, prendi posto mentre il campione degli Australian Open e Karen Khachanov colpiscono qualche pallina. La violenza dei colpi del russo è seconda solo alla sua ottusaggine. Federer lo sa e nei momenti caldi del match gli propone uno slice dopo l’altro in attesa che l’arrotatissimo dritto del classe 96 vada fuori giri. Questo è esattamente ciò che accade e lo svizzero centra l’undicesima finale ad Halle, sotto il tetto del campo centrale. Esatto, ad Halle, sperduto paesino in mezzo al nulla, il centrale ha il tetto. Roba da sesto Slam, poiché la quinta posizione risulta già occupata a suon di pizza e porchetta. Ora hai giusto dieci minuti per mangiare qualcosa di ciò che resta in mensa. Una mela. Una lucida, rossa, bella mela. Non c’è tempo per aver fame, perché hanno già chiamato la conferenza dello svizzero. La sala è anche in questo caso sproporzionata al numero dei presenti, la maggior parte di giornali tedeschi. A Roger sono poste infatti solo tre domande in inglese e tutte le altre in tedesco. Non capisci una parola di questa lingua spigolosa, ma resti comunque ad ascoltare quell’uomo che di solito vedi solamente in tv. La prossima partita inizia tra mezz’ora e hai il tempo di fare un giro per gli stand, che sono sempre più un fifty shades of Nike. Noti anche il grande amore di questa nazione per il pesce, che affolla gli stand alimentari, da cui ti tieni però a debita distanza. È tempo di rientrare per sperare che Sascha Zverev non demolisca Richard Gasquet, cosa che fortunatamente non succede. Il francese dà invece tutto se stesso, perdendo solamente al terzo set probabilmente il match più bello di giornata. Richard ha davvero incantato con un tennis fatto di continue smorzate, demi-volée e rovesci lungo linea. Dall’altro lato, Zverev ha picchiato, picchiato e ancora picchiato. Nulla in contrario, ma solo ad una condizione: che non faccia più palle corte, per favore. 
Non te la senti davvero di restare per la semifinale di doppio, ma ti giustifichi pensando che è anche un po’ colpa degli organizzatori che la piazzano per ultima.

Il giorno della finale c’è il pubblico delle grandi occasioni, ovvero quello che avrà visto forse due o tre partite durante l’anno. Sono venuti solo per l’atto conclusivo che chiaramente sarà il punto più elevato della settimana per qualità e pathos. Per la prima garantisce la sola presenza di Roger Federer che danza sull’erba, per la seconda ci sono dei problemi. Federer spazza via Zverev in appena 53 minuti, scherzandolo dal lancio della moneta (vinto) all’ultima volée. Il suddetto pubblico delle grandi occasioni è deluso, ma spera evidentemente di rifarsi con la finale di doppio, dove i fratelli Zverev affrontano Melo e Kubot. Le due coppie danno battaglia fino all’ultimo, tra le carezze a rete di Kubot e le volée a due mani di Zverev piccolo, che impugna la racchetta come fosse un’alabarda. Al supertiebreak sono un paio di errori di Zverev grande a consegnare la finale al duo polacco-brasiliano, con ulteriore sconforto dei presenti. Tedeschi, s’intende.

Due finali due sconfitte, niente male per Alexander Zverev, che potrà comunque consolarsi con i circa 250.000 euro lordi incassati in appena una settimana. Una retribuzione in stile “lavoretto estivo” insomma. Provi anche a chiedergli in conferenza stampa se Federer abbia fatto qualcosa di diverso rispetto alla partita dello scorso anno, ma il tedesco ha pronta la risposta chiarificatrice: “Three sets with Bautista, three sets with Gasquet. I was tired.” Stanco, povero ragazzo. In ogni caso, Sascha ha di che sorridere dopo questa settimana. Potrà togliersi lo sfizio di invitare a cena il suo idolo di sempre Roger Federer, forte della sua nuovissima collezione di piatti made in Germany.

Aldo Cutaia

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