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La pressione Bouchard

C’è un’età in cui la maggior parte dei ragazzi del mondo ancora non ha neanche capito bene cosa fare da grande e si barcamena tra la scelta di un’università oppure faticosamente si affaccia al mondo delle professioni che sempre meno offre ai giovani, non lo si dice certo qui.

C’è poi una piccola élite, molto piccola, rappresenta una percentuale inferiore all’unità rispetto a questa moltitudine, che per alcuni incroci fortuiti, fatti di talento naturale, possibilità, conoscenza delle persone giuste, che mentre i suoi coetanei affrontano tutto questo, viene catapultata nel mondo dello show/sport businness e ne diventa, quasi senza accorgersene razionalmente, protagonista, finendone anche travolta.

Il tennis è sicuramente uno di quei canali attraverso cui questo accade: i giocatori e le giocatrici diventano attori dei tornei più importanti quando spesso sono ancora dei ragazzini a tutti gli effetti e sono molti i casi in cui il sistema che circonda l’unica cosa che conta davvero, cioè il campo e le racchette, finisce per schiacciarli o stordirli o trascinarli senza soluzione di continuità.

Sono davvero molte le situazioni in cui al grande talento in campo non corrisponde altrettanta maturità fuori da esso e in cui questo circo mediatico finisce per spegnere, sopire od oscurare il genio sportivo. Talvolta solo per un periodo, altre volte per sempre.

Un caso molto noto al tennis contemporaneo è certamente quello di Richard Gasquet: predestinato per tutti i media francesi sin dalla tenera età, il francese, sebbene abbia avuto un’onesta carriera, non ha certo mantenuto le aspettative e alcune sue “scivolate” (cocaina) di qualche anno fa sono quasi sicuramente dovute alla pressione esterna ricevuta quando ancora la personalità non era in grado di farlo.

È un mondo strano, con un evidente scarto tra essere e dover essere, di cui si è già parlato, in cui l’essere, nella fattispecie il denaro, la fa da padrone, ma se per caso tu che ne sei protagonista smetti di vincere, allora ti ricorda il dover essere e ciò che fai o dici diventa bersaglio delle più intense critiche, pronte a spegnersi non appena tornano i risultati. Si pensi a Nick Kyrgios: un paio di mesi fa ha inanellato nuovamente qualche vittoria importante e tutte le critiche sul suo essere bizzarro, fuori dagli schemi si sono trasformate nuovamente in elogio del genio.

Se in questo schema, di più, ci metti anche l’essere una bella ragazza, magari non timida, ecco che per la mani spunta Eugenie Bouchard. La canadese è proprio il simbolo di quanto scritto sopra: esplosa tre anni fa a livello tennistico, a vent’anni, si è ritrovata in un attimo personaggio mediatico per il mondo del tennis e non solo. Probabilmente travolto da tutto questo il suo tennis è presto scemato, i risultati sono diventati estremamente deludenti mentre la fanciulla si godeva, come biasimarla, la celebrità. Già come biasimarla: è giusto pretendere sempre che questi atleti siano perfetti anche fuori dal campo? È sensato aspettarsi da loro un comportamento esemplare, strictu sensu, in ogni situazione? La risposta sarebbe sì, se non fossero viziati di denaro non appena ottengono qualche risultato. Perché il problema è lì: se a vent’anni diventi un campione di tennis, difficile che tu abbia avuto tempo per coltivare la filosofia morale perché è molto probabile che tu abbia trascorso quasi tutta la tua esistenza sul rettangolo di gioco. Pertanto stride leggermente che quello stesso sistema che ti chiede di fare sorrisi accondiscendenti su tutte le copertine e ti tratta coi guanti di velluto pretenda poi la tua perfezione etica. È vero, sembra un po’ fuori luogo l’attacco frontale che la canadese ha fatto nelle ultime tre settimane a Maria Sharapova, parlando di esempio e correttezza. Difficile credere alla bontà delle dichiarazioni di chi ha vissuto di gossip per quasi tre anni, ma la colpa probabilmente non è sua, e sorge il dubbio che lei stessa creda in ciò che ha detto. Noam Chomsky, tanti anni fa, trattando il tema della deviazione dei media, parlò di una sorta di assuefazione che colpisce i giornalisti, i quali neanche si renderebbero conto di fare polemiche utili al sistema potere, ma vivrebbero convinti di scrivere in difesa della libertà di espressione, interiorizzando le richieste dei loro editori. Potrebbe essere un caso simile quello della Bouchard: la giocatrice aveva sicuramente bisogno di visibilità, anche per i contratti che ha in essere e non è da escludere che quanto dichiarato le sia stato suggerito dal suo staff. Probabilmente nella sua giovane età l’atleta ha considerato anche giusto quanto le è stato detto. In fondo criticare l’atteggiamento che ha avuto la WTA, o meglio gli organizzatori dei tornei, nei confronti del caso Sharapova potrebbe essere anche giusto. Lo ha fatto anche Andy Murray e, sebbene siano solo parole, ben venga che ancora si dica qualcosa in difesa dello sport pulito, o dei differenti trattamenti che gli atleti ricevono in base al nome che ha spesso sapore di ipocrisia di convenienza. La Bouchard l’ha fatto in modo poco elegante e da un pulpito non proprio adatto? Se la Sharapova potrebbe essere metaforicamente i Beatles, lei non è i Rolling Stone vista la carenza di risultati? Ha ventitré anni e le stendono tappeti rossi ovunque, davvero si continua a pretendere che questi campioni siano anche dei saggi, quando spesso anche chi dovrebbe esserlo non lo è?

Si sia coerenti, tutta questa polemica fa buon gioco a tutto il circo e la partita di Madrid grazie ad essa ha avuto un risalto che parimenti mai ci sarebbe stato. In campo non c’era Roger Federer, no? E la canadese, in ogni caso, si è aggiudicata il match.

Matteo De Laurentis

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