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Taiwan, una squadra rovinata dall’odio tra le sue stelle

Non è un facile da raccontare la storia di Taiwan, isolotto poco lontano dalla Cina, nazione da cui da anni cerca la completa indipendenza territoriale. Eppure già il nome tradotto in inglese mostra tutte le difficoltà a staccarsi dalla sua origine: Chinese Taipei (con Taipei che è il nome della capitale).

Allo stesso modo, anche la recente storia tennistica mostra enormi intrecci e problemi che condizionano un po’ tutto l’ambiente. I contrasti con la federazione sono enormi, un organismo che dovrebbe aiutare coi propri fondi economici lo sviluppo e la crescita dei suoi rappresentanti, e che invece finisce per privilegiare pochi e sfavorire tutto il resto del gruppo, con regolamenti modificati “ad personam” e scarso rispetto per chi davvero, nel corso degli ultimi anni, ha reso onore a quell’isolotto che in portoghese prende il nome di “Formosa”, ovvero “la Bella”.

Su Wei Hsieh è l’atleta che ad oggi ha dato maggior lustro a Taiwan arrivando fino al numero 1 del mondo in doppio, prima del suo paese, e vincendo 2 titoli Slam (Wimbledon 2013 e Roland Garros 2014) ed un Master di fine anno nella categoria ad Istanbul nel 2013, oltre a 2 titoli WTA in singolare nel 2012 ed un best ranking di numero 23 raggiunto nel 2013. Eppure non è stata mai considerata dalla propria federazione che fin dall’inizio degli anni 2000 privilegiava solo la miglior giocatrice in singolare, Yung Jan Chan, che ha orbitato in top-100 per 5 anni tra il 2006 ed il 2011 prima di dedicarsi progressivamente solo al doppio. Di riflesso, veniva aiutata anche Hao Chin Chan, sorella di Yung Jan con cui oggi forma una coppia di doppio valida e capace di stazionare fissa in top-10.

Su Wei, divenuta professionista nel 2001, nei primi 10 anni di carriera non aveva raccolto granché in singolare e le uniche soddisfazioni arrivavano dal doppio. I problemi, però, non hanno solo radice economica. O meglio, non sono partiti solamente da questioni dovute a malintesi su come la federazione avrebbe dovuto gestire i soldi da distribuire agli atleti. Hsieh, che non ha mai avuto lo stesso appeal in patria delle Chan, subito diventate delle star ed estremamente “markettabili” da un punto di vista mediatico (Hao Ching scrisse una volta su Facebook di sentirsi un po’ la Sharapova di Taipei per l’attenzione che i media le riservavano), lamentava anche l’atteggiamento che subiva da alcune connazionali tra cui le stesse Chan quando ad inizio carriera aveva cominciato a viaggiare per i tornei. Quasi senza soldi e costretta a condividere quello che guadagnava con la famiglia che oltre a lei contava 6 tra fratelli e sorelle, alcuni di loro tennisti mentre il più giovane dopo aver fatto un tentativo si è dato al baseball, chiedeva aiuto per dividere i costi degli alberghi e si ritrovava a dover accettare compromessi scomodi. “Non mi dispiaceva l’idea di dormire per terra – diceva Hsieh – ma le Chan mi costringevano a pagare per quello, mentre le giocatrici straniere mi permettevano di farlo gratis, ed io non volevo gravare sulle loro spese chiedendo un altro letto”.

Dopo il titolo a Church Road fu la volta di una nuova polemica scatenata dal padre di Hsieh con la stampa asiatica lamentando ancora la mancanza totale di appoggio nei confronti di sua figlia da parte della federazione e delle aziende più importanti. Raccontò inoltre che un’azienda birrificia nella provincia cinese di Qinghai avesse offerto ben 10 milioni di Yuan (circa 137 mila euro) per vedere Su Wei giocare sotto la bandiera cinese. Col tempo, venne fuori che era solo una bugia, ma è servita ad aprire gli occhi su quelli che erano i problemi e portò supporti importanti da China Airlines e Taiwan Beer.

Se non ci fossero le ruggini nate nel 2000, Taiwan oggi potrebbe puntare su una nazionale di medio-alto livello, ma queste lotte intestine hanno reso impossibile la comunicazione tra le parti. Non di meno, le sorelle Chan non vengono viste di buon occhio da tanti atleti di Taiwan perché sempre alla ricerca dell’attenzione dei media e, sembra, dotate di un carattere abbastanza egoista. Hsieh, per quanto abbia sempre ritenuto ingiusta questa condizione ed il trattamento che le è stato riservato, nel 2014 cercò di invogliare Yung Jan a giocare con lei nei giochi asiatici di Incheon. Da numero 1 del mondo era nella posizione giusta per farlo. In risposta arrivò un comunicato “a 4 mani” dove le Chan dissero: “Stiamo giocando assieme ormai da marzo, riteniamo che il nostro affiatamento possa portarci ad avere maggiori chance di ottenere una medaglia d’oro”. Le motivazioni, anche qui, risiedevano anche in un fattore economico: la vittoria della medaglia d’oro nel singolare come nel doppio (o nel doppio misto) avrebbe portato al singolo atleta l’equivalente di 100.000 dollari. Una somma di molto superiore ai 133 mila dollari da dividere per le vincitrici del torneo di doppio di Cincinnati, un WTA Premier 5.

Hsieh, particolarmente irritata, voleva abbandonare tutto e solo un estenuante dialogo con la federazione riuscì in qualche modo a coprire i problemi. Non a risolverli. Ed ecco che, alla vigilia delle Olimpiadi di Rio de Janeiro 2016, è avvenuto il definitivo patatrack. Secondo le regole, il tennista (maschio o femmina) con la miglior classifica in singolare avrebbe portato con sé il coach. Solo uno, perché nelle intricate vicende politiche del paese la federazione riservava pochissimi accrediti ai coach. La maggior parte, tolti i tennisti, venivano utilizzati per dirigenti e membri del comitato, con annessi ministri. Senza dirle nulla, la federazione modificò la regola favorendo solo chi aveva in quel momento la maggior classifica tra singolare e doppio. Ancora una volta, le sorelle Chan. “Sono la giocatrice con maggior successo nella storia del mio paese – scriveva Hsieh su Facebook – merito maggior rispetto. La mia federazione non mi lascia portare a Rio il mio coach, pensa forse che voglia andare là in vacanza?”.

Diede una conferenza stampa a metà luglio per raccontare i problemi che le creava la vicenda e mostrò le prove per testimoniare come nessuno l’avesse avvisata. Si sentiva, parole sue, “stuprata da questo continuo atteggiamento della federazione che finiva sempre per non considerarla o sfavorirla”. Il giorno dopo, questo suo sfogo venne trasformato dalla stampa locale come un attacco ed il messaggio che passò fu l’esatto opposto. Su Wei, ormai stanca, arrivò alle vere minacce: “Non mi avete mai considerato in tutta la mia carriera. Ora, o sistemate le cose o io rinuncio al doppio a Rio de Janeiro”. Una scelta che voleva dire, per lei, rinunciare verosimilmente all’ultima chance di una medaglia a 5 cerchi. Lo fece, ma per danneggiare ancora di più l’immagine del proprio team mise in atto il suo piano quando era già arrivata al villaggio olimpico. Scese le scale e consegnò la chiave della sua camera ai rappresentati della federazione taiwanese: “Fate quello che volete, io me ne vado”. Chin Jua Chuang, la sua compagna di doppio designata, vincitrice di 22 titoli in categoria e numero 5 al mondo come best ranking, è rimasta a piedi, Lu non prese parte al doppio misto. Quel giorno, di fatto, la sua avventura con la nazionale è terminato tra le ire di Chuang, che risultava come vera vittima di quella situazione.

Le stesse Chan, da sempre con un ruolo di privilegiate dalla federazione, non hanno mai preso in seria considerazione la competizione a squadre. Yung Jan si è prestata sempre in prossimità degli appuntamenti olimpici: dal 2006 al 2008, nel 2010 e nel 2012, nel 2015 e nel 2016. La sorella Hao Ching, invece, solo nel 2015 e nel 2016, quando avrebbe potuto qualificarsi per giocare il doppio e puntare ad una medaglia con Yung Jan. Anche per questo, nelle ultime 2 trasferte sono andate altre giocatrici tra cui Kai Chen Chang, che ora è numero 120 del mondo ed in carriera ha anche una finale WTA, ma di Hsieh e delle sorelle Chan neppure l’ombra. E chissà se mai torneranno.

Diego Barbiani

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