Garbine Muguruza, qualificata come quinta alle Finals di Singapore, per il secondo anno consecutivo parteciperà all’evento tra le migliori otto al mondo dopo un annata che ha visto il conseguimento del suo primo trofeo del Grande Slam.
di ARIS ALPI
L’anno scorso Muguruza arrivava all’appuntamento con le Finals con migliori sensazioni rispetto a questo 2016: un lieve infortunio alla caviglia occorsole la settimana scorsa le è costato il ritiro dal torneo di Linz, in Austria. L’atleta ispanico-venezuelana aveva giocato un buon Master dodici mesi fa, battendo tutte le avversarie nel Round Robin perdendo un solo un set, nell’ultimo incontro di girone contro Petra Kvitova.
Nelle due sfide restanti aveva battuto Angelique Kerber e Lucie Safarova. Perderà poi la semifinale per un soffio, grazie ad un solo break nel terzo set, con Agnieszka Radwanska, in quei mesi tra l’altro in stato di grazia. Sicuramente “Gaby” ci ha abituati a prestazioni come quella, a veri e propri exploit ma anche, ad altrettante repentine cadute.
Quando nel 2015 sfidò il suo idolo di bambina, Serena Williams, in finale a Wimbledon, Garbine era appena testa di serie n.20, non esattamente tra le prime favorite del torneo. A quell’appuntamento, però, la carismatica giocatrice originaria di Guatire partecipò con coraggio, uscendo tra gli applausi. Da quel momento tutti i media, sia del Venezuela che di Spagna, urlarono al miracolo, impazzendo nel vedere la papabile erede al trono non solo del tennis, ma anche dello sport latino, etichettandola come una sorta di alter ego al femminile dell’altro Campione, Rafael Nadal, ormai in declino e in lotta per rimanere in forma.
Apparentemente quel ruolo piacque a Garbine; un po’ meno il dover spiegare a tutti costi la volontà di un’appartenenza ad una nazione o all’altra, benché divisa dal paese della madre, Il Venezuela, dove è cresciuta fino ai sei anni, e quello del padre, spagnolo dei Paesi Baschi.
Garbine, nata in un sobborgo di Caracas, a due passi dal mare caraibico, impugnò per la prima volta un manico di racchetta ad appena due anni. I fratelli maggiori, che già giocavano abbastanza seriamente a tennis nel circolo della cittadina venezuelana, si portavano appresso la loro sorellina che però presto si appassionò anche lei a quella disciplina, a forza di guardarli da dietro una recinzione. Da quando a sei anni viene spedita alla Bruguera tennis Academy di Barcellona, il suo destino non sarà più lo stesso. I Maestri vedono in lei un futuro segnato, soprattutto grazie alle doti fisiche. È li che iniziano a costruire la futura campionessa, la Muguruza di oggi.
Nel 2013, dopo appena un anno dall’esordio nel Tour, l’incubo: “lesione alla caviglia destra e intervento chirurgico” il verdetto dei medici. Garbine Muguruza Blanco non ci sta e, da casa, chiama l’allenatore fissando sessioni d’allenamento seduta sopra una sedia. L’anno successivo si affaccia prepotentemente alle porte del tennis che conta, battendo a sorpresa Serena Williams agli Open di Francia e guadagnando l’accesso in top 30 WTA. Conquista due semifinali, nei tornei di Sofia e Tokyo. Nel 2015 l’ormai famigerata finale dei Championship le valgono la meritata qualificazione alle WTA Finals. Da lì però arriverà un periodo di oblio.
A inizio del nuovo anno, con le aspettative dei media ispanici molto alte, Garbine si rende protagonista di una prestazione shock a Melbourne, dove gioca senza energie, come imbambolata, senza il tennis per poter nemmeno palleggiare. Due mesi di attese se ne vanno in appena un’ora e un quarto di gioco con Borbora Strycova.
Il peso della pressione agiterà la mente della ventiduenne nei mesi a venire, facendole perdere la voglia di competere. Se la prenderà con il suo coach, Sam Sumyk, a Indian Wells, durante un drammatico cambio campo in un mare di lacrime. Poi, la risalita, con il sospetto di un intervento da parte di uno psicologo che farà sì che la predestinata riprenda in mano la sua carriera.
Gaby, ora, è un altra giocatrice. Al Roland Garros parte in sordina, ma il suo gioco migliora turno dopo turno. È aggressiva, Garbine, e i suoi colpi sono potenti come nei giorni migliori. Il successo sulla terra rossa parigina non è che il giusto premio delle sue due straordinarie settimane francesi.
Dopo gli Open di Francia, sazia e spossata, la numero 6 del mondo però affronterà il resto della stagione quasi, nuovamente, da “straniera”. Due uscite al secondo turno nei restanti Slam e una al terzo ai Giochi Olimpici sono risultati mediocri per un’atleta del suo calibro, passando solo dalla semifinale di Cincinnati come unico risultato saliente.
Gaby si trova ora ad una svolta: continuare con questo moto ondulatorio o pensare a godersi appieno il suo status quo?
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