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Milos Raonic: elogio di uno sgraziato attaccante

TENNIS – Milos Raonic ha sorpreso un po’ tutti nell’ultimo Wimbledon. Ormai si pensava fosse un’altra promessa non mantenuta. Invece il canadese si è dimostrato un tennista piuttosto solido e forse definitivamente protagonista.

L’edizione di Wimbledon conclusa appena due giorni fa ha avuto una vittoria scontata: quella dell’idolo di casa Andy Murray mai in forma come in queste ultime due settimane. Scontata soprattutto dopo l’eliminazione a dir poco sorprendente del numero uno del mondo Novak Djokovic per mano di Sam Querrey. Tutti sono rimasti delusi dal fatto che l’avversario in finale dello scozzese non fosse però il tennista più amato del globo (e di sempre): Roger Federer, il quale si è fermato in semifinale dopo aver regalato le ennesime emozioni nel quarto di finale conto Cilic. Ma la delusione dovrebbe essere stemperata dal fatto che non ci fosse un giocatore qualunque a contendersi il titolo domenica ma uno che probabilmente continuerà a dire la sua nei tornei che contano. E’ stato un peccato che non ci fosse l’eterno svizzero in finale: ma non è stata una disgrazia che ci fosse al suo posto Milos Raonic.

Il canadese finalmente sembra aver fatto il salto di qualità che tutti ci aspettavamo da qualche anno a questa parte: fin dal 2011 quando il giovane Milos si fece notare all’Australian Open e poche settimane dopo conquistò a San Jose il suo primo titolo Atp battendo nell’ultimo atto Fernando Verdasco. Poi però una serie di infortuni e alcune carenze mentali avevano ormai fatto credere che il nativo di Podgorica fosse un’altra di quelle promesse non mantenute a cui purtroppo in questi ultimi anni abbiamo fatto triste abitudine. Milos aveva sì vinto alcuni buoni tornei (e raggiunto anche una finale Master 1000), aveva disputato la semifinale proprio a Wimbledon nel 2014, ma era troppo poco per quello che veniva considerato uno dei più forti della generazione ’90. Forse pochi avevano fiducia nei suoi confronti alla fine della stagione scorsa in cui era stato di nuovo deludente nonostante in primavera avesse ottenuto per qualche settimana la quinta posizione nel ranking. Invece Raonic ha saputo risalire la china, lavorando duramente ed evolvendosi sia dal punto di vista caratteriale che da quello tecnico, al contrario ad esempio di un Dimitrov (tanto per fare un nome di un suo coetaneo) semifinalista come lui nella sopracitata edizione di Wimbledon 2014 ma che sembra essere caduto in un buco nero da cui non vede la luce.

Che le cose fossero cambiate il canadese lo aveva mostrato già ad inizio anno sconfiggendo a Brisbane Roger Federer in finale. Dopo l’abbandono di Lijubicic (assunto nello staff proprio di Roger), Milos non si è perso d’animo e affiancato come sempre dall’esperto Riccardo Piatti ha ingaggiato Carlos Moya per migliorare il gioco da fondocampo; non si può negare che negli ultimi mesi il salto di qualità negli spostamenti laterali oltre che il controllo adeguato dei potentissimi colpi sia stato piuttosto evidente. La scelta stessa di assumere John McEnroe per la stagione su erba, a prescindere da quanto abbia veramente inciso nell’ultimo slam il lavoro dell’ex campione statunitense, dimostra una grande intraprendenza nel tentare di percorrere  tutte le stradi possibili per migliorare tecnicamente. Per quanto riguarda le capacità mentali difficilmente in passato avrebbe recuperato due set sui manti erbivori londinesi ad un ottimo giocatore come Goffin o avrebbe battuto alla distanza un fuoriclasse (per quanto acciaccato e ‘anziano’) come Federer.

Il canadese dunque è stato tutt’altro che un ‘usurpatore’ in quest’ultimo Wimbledon. Ha strameritato la finale del torneo più prestigioso per tutto quello che ha mostrato in campo vincendo partite difficili. D’accordo, domenica il match è stato senza storia ma di certo non inferiore rispetto alle ultime finali londinesi terminate in tre set, la brutta Nadal-Berdych del 2010 e l’orrenda Murray-Djokovic del 2013. Forse Raonic non ha servito alla grande come al suo solito ma dall’altra parte Murray è il miglior ribattitore, insieme a Djokovic, del circuito oltre ad essere un campione che ha avuto la somma scalogna di giocare nella stessa epoca degli altri tre ‘Fab’ i quali gli hanno negato la possibilità di alzare molti altri titoli slam. L’ultima finale non è stata inferiore alle altre due sopracitate anche perché stavolta abbiamo potuto comunque ammirare un confronto di stili ben marcato in cui si sono affrontati uno straordinario ‘regolarista’ come lo scozzese e un attaccante, per quanto sgraziato nello stile, come il canadese.

Ecco, proprio questo forse è l’aspetto che bisognerebbe sottolineare di più di tutto lo slam di Raonic. Vivaddio, finalmente abbiamo visto un tennista contendersi il titolo di Wimbledon che non ha guardato la rete come se fosse una trappola mortale. Da quanto tempo non ammiravamo un giocatore aggredire senza paura sul campo che più ogni altro aveva visto in passato le gesta degli attaccanti? Da troppo tempo. D’accordo, c’è il caso di Federer ma è come si suol dire una caso sui ‘generis’ e in un certo senso sbagliato: Roger dal 2004 non attua più costantemente il serve&volley e anche se negli ultimi anni ha innegabilmente aumentato le discese a rete non lo ha fatto con la stessa continuità mostrata invece da Raonic in tutte le sue sette sfide londinesi. Forse contro Murray il canadese non ha seguito la battuta a rete come ad esempio nei quarti contro Querrey, dove ha fatto serve&volley spesso e volentieri perfino sulla seconda, ma ha cercato comunque in quasi tutti punti di aggredire lo scozzese provando a chiudere a rete incurante dei velenosi passanti del ben più forte avversario. Milos ha dimostrato di non essere solo un bombardiere ottuso di solo servizio e diritto come molti erroneamente pensano ma al contrario ha saputo sfoggiare un gioco d’attacco tutt’altro che disprezzabile e a tratti persino pregevole. Pensiamoci un attimo: da quanto tempo non vedevamo il classico attacco di rovescio tagliato sul campo centrale (di nuovo, a parte Federer e comunque non con questa continuità)? Colpo che quelli della sua generazione (e purtroppo anche quelli della nuova) non sanno manco cosa sia; lo ha fatto con la stessa grazia di un orso che balla sul ghiaccio? Non importa. L’importante è che ci sia stato qualcuno che abbia attaccato a più non posso: perché chi lo fa, soprattutto sui prati di Wimbledon, merita di questi tempi solo rispetto; oltre alle glorie che probabilmente non tarderanno a mancare per Milos Raonic, unico tennista di una generazione perduta che grazie al suo talento, alla sua voglia di migliorarsi e di lavorare sodo ha tutte le qualità per vincere uno slam.

 

 

 

 

 

 

Salvatore De Simone

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Salvatore De Simone

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