TENNIS – Di DAVIDE BENCINI. Ogni anno si spera nelle novità. In un nuovo vento che spiri per portare qualcosa di innovativo, di fresco. Ma anche quest’anno, almeno per ora, sembra che dovremo attendere. Il nuovo che avanza continua a rimanere ben distante dal vecchio che resiste.
Una volta era più facile. Una volta bastava meno. Una volta si esplodeva prima. Quante volte ce lo siamo sentiti dire negli ultimi 7-8 anni? E ormai da un paio di stagioni si spera nella rivoluzione, nel “next big thing”, salvo poi arrivare a Novembre, guardarsi indietro, e chiedersi al perché ci siamo sorbiti un altro anno di repliche.
I giovani non emergono: o annaspano in preda a un tennis che in fondo non appartiene loro, o si perdono vittime delle pressioni o chissà cos’altro o continuano ad accontentarsi di parti da comprimario, per così dire.
Una volta si veniva fuori a un’età minore, si diceva. Vero. L’aspetto atletico e soprattutto quello mentale negli ultimi anni hanno conquistato un ruolo fondamentale nella preparazione di un tennista e specialmente il secondo è diventato quella chiave che fa la differenza tra un buon giocatore e un campione. Infatti, mentre riguardo al primo aspetto resta difficile credere che un ventenne che si affaccia sul circuito non sia fisicamente preparato e ne abbia meno di un trentenne, il secondo fattore implica due cose fondamentali che difficilmente si insegnano a scuola: focus e soprattutto attributi. Del resto ormai è difficile vedere giovani in crisi fisica, o ventenni che ne hanno meno di un Nadal o di un Djokovic o di un Murray. Oggi avere il fisico è una prerogativa, non più un vantaggio come quando venne fuori Rafa. Quando però un Monfils, non certo Coria ecco, perde 6/0 il terzo set della finale di un 1000 lo fa perché la testa è andata in vacanza, come se vincendo il secondo set la partita finisca. Purtroppo però le partite non finiscono 1-1 nel tennis…
Quello che sembra mancare alle nuove generazioni è una grande dose di concentrazione e un’altrettanta quantità di attributi, di capacità di buttare il cuore un po’ più in là. Diciamo “generazioni” perché la sensazione è che una sia già quasi saltata, mentre l’altra ancora non solo non esplode, ma non pare nemmeno dare tanto fastidio. Abbiamo sperato in Dimitrov, che ormai affossato dalla pressione di essere il futuro Federer adesso sembra voler passare più per il nuovo Ivanisevic, senza avere vinto un decimo di Goran. Dolgopolov e in parte Goffin sono rimasti intrappolati in un tennis passato, che oggi non ha speranze. Raonic armeggia con armi che probabilmente non sono sue, cercando di reggere da fondo quando vent’anni fa sarebbe stato prettamente un bombardiere. Nishikori è il medioman alla Chang (non per nulla suo allenatore) che non sfonda, forse perché ha avuto l’unica sfiga di nascere in Giappone e quindi si sente obbligato a inchinarsi a tutti.
E la nuova di generazione? Gli Zverev, i Coric, i Thiem, i Kyrgios, i Kokkinakis? Crescono, ma la sensazione è comunque che esploderanno non prima che la vecchia guardia crolli. Loro almeno sembrano avere delle “palle” che i loro più vicini predecessori non hanno avuto (finora). Però non si capisce se per poca fame o meno abnegazioni, non sembrano avere quel quid che ha permesso ai loro predecessori di fare la storia. Per carità, nessuno mette in dubbio che i Federer, i Djokovic, i Nadal, i Murray abbiano costruito un tennis di una solidità disarmante e indistruttibile, fatto sta che resta difficile pensare che nessuno dei nuovi o dei nuovissimi riesca a interpretare non tanto il tennis, ma la concezione del “lavoro-tennis” come i Fab 4.
Il fatto che un Del Potro, per carità non è certo vecchio, al rientro dopo praticamente due anni riesca agevolmente a battere Thiem sulla sua superficie prediletta la dice lunga, così come un Coric che non dà alcun fastidio a un Nole ancora imballato o Zverev che getta al vento un match vinto proprio contro un Nadal fuori forma con una volee che farebbe anche un cieco. Qualche exploit isolato, ben lontano dalle finali, e niente più. Gli dèi restano lassù, al loro posto, intoccabili, sicuri che tutt’al più potranno perdere un set, sapendo però che quel set nel 99% dei casi per i loro giovani avversari varrà quanto vincere Wimbledon, con conseguente cottura e gita mentale successiva. Un big 4 dopo un’abbuffata al fast food avrebbe quote da bar anche su una gamba sola contro di loro in piena salute.
Nessuno probabilmente si aspetta che i diciottenni tornino a vincere slam: il tennis è troppo diverso oggi, ma almeno ci si aspetterebbe che facessero sembrare un trentenne Nadal, specie dopo un’annata all’acciacco, o un trentacinquenne Federer un po’ meno imperforabili. Invece siamo ancora qui a veder vincere i soliti, con i nuovi che alla fine continuano a dare solo l’impressione di non esserne all’altezza, nel loro accontentarsi di un misero “settino” e credendo in un pareggio che non esiste in questo sport e dando conferma che tennis il mercato dell’usato o, in alcuni casi, dell’ “usurato” vale ancora di più del nuovo, e non di poco.
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